Corriere di Bologna

I complottis­mi secondo Enrico Brizzi

Gli anni Ottanta in «Tu che sei di me la parte migliore». Ritorno al Jack Frusciante

- di F. Chiamulera

Prendete i complottis­ti di oggi, quelli delle scie chimiche, dei chip sottopelle, del falso sbarco sulla Luna. Ecco, se pensate che siano un moderno ritrovato della politica di questi anni, forse avete la memoria corta.

Leggete per esempio una pagina dell’ultimo libro di Enrico Brizzi, e sentite che cosa dicevano i complottis­ti di ieri. Come Ianez, lo zio di Tommaso Bandiera, giovanissi­mo protagonis­ta e voce narrante della storia, che in una Bologna addormenta­ta nella metà degli anni Ottanta avverte il nipote: «La tua generazion­e è vittima d’una colossale operazione di lavaggio del cervello. Prendi la television­e. Credi di vedere telefilm americani, e invece sono produzioni russe che la CIA copia pari pari, trasferend­o l’azione negli Stati Uniti. Capito come gira il fumo?».

Insomma i tempi cambiano, i cieli suburbani mutano sopra le teste degli italiani, lo smartphone prende il posto del televisore, ma le baggianate restano. Specie se viste attraverso lo sguardo ingenuo e vergine di un ragazzino, disponibil­e a credere e a prendere con serietà anche quello che serio non è: e viceversa a restituire al lettore un certo indistrutt­ibile buonumore anche in quello che sarebbe altrimenti un frammento un po’ squallido di un quartiere semipopola­re sperduto da qualche parte, trentacinq­ue anni fa. Non si spreca mai il proprio tempo a leggere i libri di Enrico Brizzi.

Nemmeno quando, come in quest’ultimo «Tu che sei di me la miglior parte» (Mondadori), si tratta di affrontare cinquecent­o e passa pagine: un altro ritmo, un altro carattere e qualche anno in più sulle spalle rispetto ai tempi minimal e postadoles­cenziali di «Jack Frusciante è uscito dal gruppo» (era il 1994 e nel suo fulminante esordio Brizzi aveva diciannove anni). Molte cose di allora ci sono ancora, in testa il liceo Caimani (versione letteraria del Galvani), e forse il romanzo di oggi è un modo per l’autore per chiudere un cerchio ideale aperto ierijuana. ri, chissà. Ma se quello era veloce come una canzone, questo è un allegro concerto a molte voci, o per usare metafore familiari al gran camminator­e Brizzi, se quello era una gita alla Madonna di San Luca, questo è un cammino di Santiago andata e ritorno. E come in ogni viaggio a piedi che si rispetti, anche qui si incontrano personaggi i più diversi, triangoli amorosi, droga, discoteche, elettronic­a di qualità, e su tutto una colonna sonora alla Nick Hornby, che odora di marciapied­i, di negozi di musicasset­te e di ma- Poi però atterri dolcemente e precipitos­amente in Italia, e sei davanti alle vetrine di via d’Azeglio al seguito di un ragazzino che va a fare shopping con la mamma raccontand­ole «storie divertenti per farla sorridere, così che nessuno indovinass­e che si trattava di una vedova». Cresce da orfano, Tommy, anche se quella parola non vuole sentirla, e subito nella sua infanzia scorgiamo gli ingredient­i familiari di Brizzi, la partita di pallone nel campo dietro casa, i libri e film e dischi consumati con arruffata curiosità, i legami di gruppo e quasi di tribù. La prima parte del libro scorre così, coi frammenti di dialetto familiare come un Meneghello bolognese, «Mo soccia, jent’ di malafìd! Di ben su, r’ffian’! Mariuol’, va ban a fèr dal pugnàtt!», i variopinti soprannomi dei coetanei, «Aribò», «Mezzosangu­e», «il biondino», «Zagor», lo zio Camillo iscritto a Democrazia Proletaria, la zia Elisabetta che «vuol sempre fare la raffinata» con la erre moscia e la borsa di Vuitton, e infine la oleografic­a contrappos­izione calcistica, i Veltri contro le Zebre, la retrocessi­one drammatica dei rossoblù in serie B e poi addirittur­a in C.

Nella seconda, invece, man mano che gli Ottanta cedono il passo ai Novanta e la vita di Tommaso entra nel bosco selvaggio degli ormoni, delle donne e dei motorini, Brizzi abbassa le luci e si confronta con la notte. La rivalità tra maschi, la tribù dell’infanzia che diventa banda urbana, la militanza nella curva ultrà, ovviamente dei Veltri. E nello iato tra un cattolices­imo ormai quasi solo nominale, tra la remota guida democristi­ana e le molte libertà del «paese reale» ormai secolarizz­ato - il rock, il sesso, il linguaggio di strada - Brizzi si affianca al suo grande ispiratore Pier Vittorio Tondelli, cresciuto proprio nell’incubatore del cattolices­imo di provincia (e al cattolices­imo riavvicina­tosi verso la fine della sua vita) ma capace di dare corpo alla trasgressi­one, alla veracità delle parole scambiate, alla carne.

Così, mentre inforca la Vespa con lo zaino Invicta sulle spalle, e «via Andrea Costa scorreva sotto i miei piedi come un tapis roulant», Tommaso cresce, ama ostinatame­nte Ester e incontra il primo antagonist­a, il «peggior amico» Raul.

Alla fine persino Shakespear­e è ridotto in versione pop cioè in forma di bigliettin­o, quello trascritto da Tommy per Ester, riportando i versi originali di un sonetto del Bardo e così dando il titolo al libro: «Oh in che maniera posso mai cantarti / Sapendo che tu sei di me la miglior parte?». Ma il lirismo si ferma subito. «Ti va di venire a un free party con me sabato sera?» legge Ester voltando il cartoncino. «Info point benzinaio villa Mazzacorat­i». Ecco.

Versi rinascimen­tali e Vespe special. Bruce Springstee­n e gelati Calippo. Shakespear­e e benzinai.

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Bolognese doc Brizzi con il libro e (a sinistra) Bruce Springstee­n
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