Il Don Giovanni è multiculturale ma lo spettacolo non convince
L’opera di Mozart secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio all’Arena del Sole
Un palco pieno di strumenti musicali. Una poltrona, uno schermo. Un fondale neutro, un po’ anonimo in verità, a pannelli, che vorrebbe alludere all’arredamento di una sala da ballo in un’epoca poco precisata. Entrano l’orchestra e alcuni cantanti, sullo schermo lampeggiano immagini: qualche suono, melodia, qualche passaggio armonico ricorda che siamo nel «Don Giovanni» di Mozart, o perlomeno nella versione fusion rivisitata dall’Orchestra di Piazza Vittorio.
Siamo tra Cab Calloway, cui dà corpulenza il Leporello trombettista di Omar Lopez Valle, il jazz, un po’ di rock, di musica brasiliana con la Donna Anna di Simona Boo e l’Ottavio di Evandro Dos Reis, le sonorità partenopee, con qualche accenno neomelodico scolorito in altre temperature del Masetto di Houcine Ataa e le derive verso il mondo delle posse e del reggae con la voce calda, profonda, sensuale della Zerlina di Mama Marjias.
Elvira, la sedotta e abbandonata, è Hersi Matmuja, una voce, squillante, un grido ironicamente intinto nel dolore della delusione amorosa. Lui, Don Giovanni, l’androgino ditagliata, rettore della sala, è Petra Magoni, giostratore di destini, perseguitato dalle ombre degli altri, insuperabile, travolgente negli acuti, grigio, sornione vocalmente in altri mocanção menti. Mozart è portato nelle tonalità multiculturali di questa orchestra, nata riunendo musicisti di varie nazionalità e culture. Si sentono Gal Costa e i 99Posse, perfino il tango di Vicente Celestino, il pop, spinto e travisato, gli anni venti, i sessanta, i nostri giorni. Ma il tutto finisce per risultare un insalatone musicale senza teatro: la trama è abborracciata, confusa, banalmente simbolica in certi momenti; chi non conosce il libretto di Da Ponte non capisce dove si trova. Le azioni, che dimostrano tautologicamente solo che don Giovanni è un seduttore, non hanno spessore scenico: tutto è frontale, come un concerto, e gli inserti video, con una specie di Frankestein fatto da pezzi di volto che dovrebbe essere il Commendatore, incubo inconscio di Don Giovanni, non ha mordente e viene poco giustificato.
Sembra che Mario Tronco, direttore dell’orchestra e curatore delle elaborazioni musicali con Leandro Picconi e Pino Pecorelli, regista con Andrea Renzi, non si sia impegnato molto oltre al trovare un’accattivante veste musicale, che effettivamente conquista buona parte del pubblico. Tra gli scontenti, quelli che pensano che il teatro non debba giocare su mezzi facili, «commerciali», capaci di conquistare consenso con una variopinta, multiculturale veste sonora, e i musicofili pronti a gettare il sasso per lesa maestà mozartiana. Noi siamo tra i primi, e ripetiamo con Ennio Flaiano: «Detesto chi fa i baffi alla Gioconda, ma non ho niente da dire a chi la prende a pugnalate».