Bilanci in rosso C’è chi spende e chi vende per resistere
Dai primi anni Duemila gli investitori nordamericani sono entrati nel calcio europeo, tutti con l’idea del «business» anche se i numeri non gli danno ragione. L’esperienza più datata lega la famiglia Glazer al Manchester United, iniziata nel 2005 ed alimentata da circa 800 milioni di euro spesi sul mercato. Un’impennata di uscite avviata dopo il ritiro di Alex Ferguson, che con la sua gestione aveva continuato a vincere, ma incapace di portare successi. Nel 2007 Stan Kroenke è invece entrato nella compagine azionaria dell’Arsenal arrivando alla maggioranza quattro anni più tardi ma investendo da allora circa 300 milioni ottenendo al massimo un secondo posto ed un tris di FA Cup. Tom Werner, proprietario del Liverpool dal 2010, ha poi impegnato addirittura maggiori risorse raggiungendo risultati inferiori. L’ultima estate è stata chiusa con un passivo di 165 milioni: nessun presidente nordamericano ha mai speso tanto in una sola sessione di mercato in Europa. Poche luci invece nelle esperienze di Fulham, Swansea e soprattutto Sunderland, oggi relegato in League One. La seconda frontiera per gli investitori d’oltreoceano è stata quindi l’Italia con la Roma passata da Di Benedetto a Pallotta non riuscendo però mai ad aggiudicarsi un trofeo nelle ultime sette stagioni ed evidenziando sul mercato una netta tendenza a chiudere le contrattazioni con ricavi importanti (quasi 80 milioni di attivo nelle ultime tre sessioni). Trend simile per il Bologna di Joey Saputo: risultati negativi, cessioni ma conti ancora in rosso. L’ultimo biennio ha però visto anche la tragica scomparsa della Reggiana di Mike Piazza, investitore statunitense che nei mesi scorsi ha rinunciato all’iscrizione del club alla C. L’unica proprietà nordamericana del calcio francese infine ha iniziato ad operare appena due anni fa: Frank McCourt vorrebbe riportare Marsiglia ai fasti di qualche anno fa.