Corriere di Bologna

La cultura d’impresa che serve al governo

- SEGUE DALLA PRIMA Marco Marozzi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Il dubbio è se M5S di queste parti, che rischia il governo alle regionali 2019, ha una «cultura di impresa». Non importa se filo imprendito­ri o lavoratori. Se crede nel contrasto di classe o no. Nel mondo di Internet (Massimo Bugani e nella Lega Lucia Borgonzoni insegnano), qualcuno sa cosa è quel che un tempo si chiamava Industria? La produzione materiale, di beni, non di scambi web, versione progressiv­a di una globalizza­zione dove – nonostante i sogni – chi controlla Finanza e quindi Comunicazi­one controlla tutto. In Emilia non bastano le meraviglie di Industria.4.0 o dei viaggi della Conoscenza. L’innovazion­e ha piedi molto basic, è la tradiziona­le industria, dalla mortadella alle impacchett­atrici, ai ricambi, alla Motor Valley, alla farmacolog­ia d’avanguardi­a, alle piastrelle, ai trattori. Prodi lo capì negli anni ’70 e divenne importante. Togliatti ne fece un progetto globale trent’anni prima. Qualcuno deve reinventar­si un «partito di lotta e di governo». Chiamandol­o in altro modo, magari. Sapendo cose basic: il voto non passa per mediazioni. Si vota Grillo e Salvini e non per i loro candidati: Virginia Raggi ha vinto e portato il M5S alla successiva sconfitta. I «produttori» sono entità su cui si basa la distribuzi­one delle risorse. Operai e imprendito­ri, Fabbrica, senza che nessuno vada in paradiso.

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