QUALE POLITICA INDUSTRIALE
Aveva ritrovato un suo ruolo e, prima ancora, una sua dignità sia accademica (benché con grande fatica) che funzionale (mediante un sano pragmatismo). Applicata alla nuova rivoluzione industriale stava dando buona prova di sé, in Italia, col piano Industria 4.0, poi ribattezzato Impresa 4.0: ne fa fede l’aumento degli investimenti in macchinari e attrezzature in atto dal 2017. Stiamo parlando della politica industriale, un’area di policy che, fra alti e bassi, dal Secondo dopoguerra occupa un posto di rilievo nel governo dell’economia di tutti i paesi occidentali.
Ora, qualcosa di preoccupante sta accadendo nel nostro Paese se il vicepresidente di Confindustria, Giulio Pedrollo, ha l’altro ieri denunciato senza mezzi termini che c’è un «Governo senza politica industriale». Il punto di partenza è il commento alle indiscrezioni sul dimezzamento dei fondi - previsto dalla manovra di bilancio del Governo legastellato - per Impresa 4.0: «una delle poche misure che funziona», ha osservato Pedrollo. Più in generale, poi, dal vicepresidente di Confindustria con delega alla Politica industriale viene mossa una severa critica a una manovra «che non aiuta la crescita».
Se c’è un paese che non può permettersi di abbandonare la nuova politica industriale, ebbene, quel paese è l’Italia. Il ruolo di seconda manifattura d’Europa dopo la Germania non è dato per sempre e va riconquistato sul campo anno dopo anno.
Le nostre imprese (piccole, medie e grandi) e le nostre industrie (tradizionali del Made in Italy così come quelle più nuove) rappresentano l’autentica spina dorsale del Paese. Gli imprenditori che operano nei settori pienamente esposti alla competizione globale - in primis, coloro che operano nella manifattura - non sono una casta di privilegiati ma persone che affrontano il rischio d’impresa investendo capitali propri, mettendoci del loro. E che col fattore lavoro – operai e impiegati, tecnici e dirigenti - formano un’alleanza naturale: una vera e propria comunità di persone. Perché non sviluppare una politica industriale è particolarmente grave per un paese come l’Italia? Sgombriamo il campo dalla caricatura che, non di rado, ne viene fatta: la politica industriale non è un «piano quinquennale» sotto mentite spoglie. Dani Rodrik, autorevole professore alla Kennedy School of Government (Harvard University), lo spiega con chiarezza: «E’ un mix di forze di mercato e sostegno governativo» capace di facilitare la «trasformazione strutturale; ossia, l’ascesa di nuovi settori industriali».
In questo XXI secolo, gli investimenti in conoscenza – spese in R&S, formazione del capitale umano - ne sono quindi lo strumento principe. Sono investimenti, per definizione, costosi e rischiosi: hanno bisogno sia di raggiungere una determinata massa critica sia dello scorrere del tempo per dare pienamente i loro frutti. Vi è, in verità, una terza caratteristica: sono investimenti che necessitano di essere collocati in un disegno complessivo. L’esempio della Germania appare particolarmente istruttivo perché ci insegna una lezione, anzitutto, di metodo: con l’improvvisazione non si costruiscono strumenti duraturi e utili. Nel 2010 il Governo federale lanciava la sua «HighTech Strategy 2020 for Germany». Da uno dei suoi filoni già nel 2012 traeva origine il programma «Industrie 4.0», che oggi ha nella possente «Platform Industrie 4.0», il foro nel quale tutti gli attori economici e sociali cooperano – sotto la regia del Governo federale – per rafforzare la competitività della Germania in tutto ciò che ha a che fare con la quarta rivoluzione industriale. E in questo 2018 è già arrivato il tempo del lancio della «New High Tech Strategy», che riprende e sviluppa quella originaria del 2010 enfatizzando aree prioritarie come l’economia digitale, la sostenibilità ambientale ed energetica, la mobilità intelligente.
Il Piano nazionale Impresa 4.0 può ancora rappresentare l’inizio di un percorso virtuoso se a Roma si ascolterà la voce di chi opera effettivamente sul campo da gioco: nel Nord-Est (Emilia-Romagna e Veneto) sono tante le imprese manifatturiere che giocano la Champions League, e non solo questa.