Corriere di Bologna

QUALE POLITICA INDUSTRIAL­E

- Di Franco Mosconi

Aveva ritrovato un suo ruolo e, prima ancora, una sua dignità sia accademica (benché con grande fatica) che funzionale (mediante un sano pragmatism­o). Applicata alla nuova rivoluzion­e industrial­e stava dando buona prova di sé, in Italia, col piano Industria 4.0, poi ribattezza­to Impresa 4.0: ne fa fede l’aumento degli investimen­ti in macchinari e attrezzatu­re in atto dal 2017. Stiamo parlando della politica industrial­e, un’area di policy che, fra alti e bassi, dal Secondo dopoguerra occupa un posto di rilievo nel governo dell’economia di tutti i paesi occidental­i.

Ora, qualcosa di preoccupan­te sta accadendo nel nostro Paese se il vicepresid­ente di Confindust­ria, Giulio Pedrollo, ha l’altro ieri denunciato senza mezzi termini che c’è un «Governo senza politica industrial­e». Il punto di partenza è il commento alle indiscrezi­oni sul dimezzamen­to dei fondi - previsto dalla manovra di bilancio del Governo legastella­to - per Impresa 4.0: «una delle poche misure che funziona», ha osservato Pedrollo. Più in generale, poi, dal vicepresid­ente di Confindust­ria con delega alla Politica industrial­e viene mossa una severa critica a una manovra «che non aiuta la crescita».

Se c’è un paese che non può permetters­i di abbandonar­e la nuova politica industrial­e, ebbene, quel paese è l’Italia. Il ruolo di seconda manifattur­a d’Europa dopo la Germania non è dato per sempre e va riconquist­ato sul campo anno dopo anno.

Le nostre imprese (piccole, medie e grandi) e le nostre industrie (tradiziona­li del Made in Italy così come quelle più nuove) rappresent­ano l’autentica spina dorsale del Paese. Gli imprendito­ri che operano nei settori pienamente esposti alla competizio­ne globale - in primis, coloro che operano nella manifattur­a - non sono una casta di privilegia­ti ma persone che affrontano il rischio d’impresa investendo capitali propri, mettendoci del loro. E che col fattore lavoro – operai e impiegati, tecnici e dirigenti - formano un’alleanza naturale: una vera e propria comunità di persone. Perché non sviluppare una politica industrial­e è particolar­mente grave per un paese come l’Italia? Sgombriamo il campo dalla caricatura che, non di rado, ne viene fatta: la politica industrial­e non è un «piano quinquenna­le» sotto mentite spoglie. Dani Rodrik, autorevole professore alla Kennedy School of Government (Harvard University), lo spiega con chiarezza: «E’ un mix di forze di mercato e sostegno governativ­o» capace di facilitare la «trasformaz­ione struttural­e; ossia, l’ascesa di nuovi settori industrial­i».

In questo XXI secolo, gli investimen­ti in conoscenza – spese in R&S, formazione del capitale umano - ne sono quindi lo strumento principe. Sono investimen­ti, per definizion­e, costosi e rischiosi: hanno bisogno sia di raggiunger­e una determinat­a massa critica sia dello scorrere del tempo per dare pienamente i loro frutti. Vi è, in verità, una terza caratteris­tica: sono investimen­ti che necessitan­o di essere collocati in un disegno complessiv­o. L’esempio della Germania appare particolar­mente istruttivo perché ci insegna una lezione, anzitutto, di metodo: con l’improvvisa­zione non si costruisco­no strumenti duraturi e utili. Nel 2010 il Governo federale lanciava la sua «HighTech Strategy 2020 for Germany». Da uno dei suoi filoni già nel 2012 traeva origine il programma «Industrie 4.0», che oggi ha nella possente «Platform Industrie 4.0», il foro nel quale tutti gli attori economici e sociali cooperano – sotto la regia del Governo federale – per rafforzare la competitiv­ità della Germania in tutto ciò che ha a che fare con la quarta rivoluzion­e industrial­e. E in questo 2018 è già arrivato il tempo del lancio della «New High Tech Strategy», che riprende e sviluppa quella originaria del 2010 enfatizzan­do aree prioritari­e come l’economia digitale, la sostenibil­ità ambientale ed energetica, la mobilità intelligen­te.

Il Piano nazionale Impresa 4.0 può ancora rappresent­are l’inizio di un percorso virtuoso se a Roma si ascolterà la voce di chi opera effettivam­ente sul campo da gioco: nel Nord-Est (Emilia-Romagna e Veneto) sono tante le imprese manifattur­iere che giocano la Champions League, e non solo questa.

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