Esistenzialismo e folclore Napoli è «Fronte del porto»
Gassmann rilegge Elia Kazan. Buon mestiere, ma qualche caduta
Ci sono legami familiari che portano al crimine, perché invischiano in circostanze alle quali non ci si può sottrarre, simili a una moderna riedizione del fato dell’antica tragedia.
Altri legami suscitano viceversa una presa di coscienza, per reagire a un ambiente in cui l’acquiescenza, la complicità, l’omertà sono regole per sopravvivere. Tutto inizia con un uomo che, con un pretesto, fa aprire la porta a un altro, un suo amico, asserragliato in casa per paura del racket del porto che lo minaccia. Quest’ultimo volerà dalla finestra. L’altro a poco a poco, grazie al coraggio e al fascino della sorella del morto, incitato dall’etica adamantina di un prete, prenderà coscienza e convincerà gli altri lavoratori ricattati a ribellarsi.
È la trama di «Fronte del porto» di Elia Kazan, film del 1954 con Marlon Brando, che si interrogava sulla delazione e il tradimento, due anni dopo la testimonianza del regista davanti alla Commissione per le attività antiamericane, che aveva portato all’arresto di vari colleghi. Alessandro Gassmann, regista che sta scandagliando il cinema americano d’impegno civile, ne ha tratto uno spettacolo con la traduzione e l’adattamento di Enrico Iannello.
Ha debuttato in prima assoluta allo Storchi di Modena, in un inizio stagione dei teatri Ert segnato dalla collaborazione con il Bellini di Napoli (anche il «Don Giovanni» che ha aperto l’Arena a Bologna era prodotto dallo stesso ente). Gassmann spoteatrale, sta l’ambientazione negli anni ’80, a Napoli. Il racket diventa un gruppo camorristico guidato dal cugino di Francesco Gargiulo, ex pugile, il protagonista, quello che inconsapevolmente fa defenestrare l’uomo che la cosca temeva potesse testimoniare contro i suoi sporchi traffici. Il fratello di Francesco è il luogotenente del capobasto- ne. Lo spettacolo inizia in modo lento e a poco a poco, soprattutto nel secondo atto, acquista ritmo. In realtà, come Francesco, che per quasi tutta la storia non sa da che parte stare, anche l’adattamento si barcamena tra esistenzialismo sociale ispirato alla pellicola di Kazan e «folclore» camorristico.
Non imita completamente la serie televisiva «Gomorra», come altri spettacoli napoletani in circolazione. Qui il dialogo è più disteso, i caratteri hanno qualche chiaroscuro in più. Eppure, a causa di quella trasposizione, cadiamo presto nello stereotipo e capiamo cosa succederà.
Sarebbe da invocare una moratoria all’ambientazione camorristica: alle storie aggiunge un colore locale schematico che spesso finisce nel patetico, nel melodrammatico, nel prevedibile. Daniele Russo è il protagonista che a poco a poco perde i pezzi; Ernesto Lama e Orlando Cinque interpretano, con acuti di buon mestiere, la retorica del capo camorrista e del prete; Francesca De Nicolais è la dolente sorella dell’assassinato.