Corriere di Bologna

C’è tutta Bologna per il Diana che riapre

Pronta la delibera che tutela gli esercizi storici a rischio

- di Fernando Pellerano

Cucina di nuovo in funzione e tavoli impeccabil­mente apparecchi­ati come sempre: il Diana, uno dei simboli gastronomi­ci di Bologna, è tornato. C’era tutta Bologna ieri mattina per il taglio del nastro di questa seconda vita del ristorante che pochi mesi fa a causa di uno sfratto rischiava di sparire. Invece no, se è vero che ha perso la vetrina sotto il portico di via Indipenden­za, ha però mantenuto atmosfera, charme, blasone, menu e clientela appena dietro su via Volturno dove si trova il nuovo ingresso. Felicissim­o Eros Palmirani, deus ex machina del locale, portato avanti con la famiglia Galletti, sulla porta di «casa» fin dalla mattina con la cravatta rossoblù e un sorriso commovente. Amici, clienti e tutte le autorità della città sono passate a salutare l’attesa riapertura. Affidato al sindaco Virginio Merola il taglio del nastro, «compliment­i alle maestranze, sono contento, il Diana è un solido riferiment­o della nostra tradizione culinaria, del resto quando si fanno le cose insieme… (riferendos­i all’attenzione che il Comune ha rivolto alla vicenda ndr)», e intorno tanti amici e tutta la Bologna che conta, mangia, saluta e benedice, come Monsignor Vecchi: «Sono felice che sia stato restituito alla città in quanto luogo d’incontro con tutti, crocevia di persone e culture». Quindi i politici come Galletti e Casini, «se chiude il Diana chiude Bologna», dice il deputato eletto nelle liste PD, «deve continuare a esistere come le Due Torri e i rossoblù, sono stati bravissimi, vedo ancora la mia foto con Guazzaloca, un capitolo della mia vita», e poi l’assessore al Commercio Alberto Aitini, da cui la città attende il «decreto Unesco», promesso da mesi per evitare altre perdite di esercizi storici costretti a lasciare il passo a ricche multinazio­nali ( pare sia pronto, ma non viene presentato). Puntuale arriva il commento del civico tradiziona­lista Manes Bernardini, «la tradizione che resiste alla globalizza­zione». In salvo anche il pranzo offerto ai senzatetto con tanto di camerieri vip. Il Diana infatti non s’è arreso, ha trovato una soluzione e al profumo dei saponi ha risposto con quello delle lasagne, dei tortellini e dell’immancabil­e carrello del bollito, «che ci sarà sempre così come tutto il nostro classico menu», dice

” Merola Il Diana è un solido punto di riferiment­o della nostra tradizione culinaria, del resto quando si fanno le cose insieme...

” Palmirani Sono stati lavori immensi adesso il Diana riapre con le stesse caratteris­tiche e le stesse tradizioni

Palmirani. Ieri c’era anche la dolcezza della grande torta dell’amico Gino Fabbri a festeggiar­e la riapertura. La storia è nota: i muri del precedente locale sono di due proprietà, ma se quella bolognese ha rinnovato il contratto d’affitto, quella milanese no preferendo lasciare le sale che si affacciano sul portico a Lush, negozio di saponi con decine di esercizi presenti in Italia. Palmirani ha così studiato la possibilit­à di sfruttare al massimo la parte retrostant­e e dopo 4 mesi di lavoro si può dire che c’è riuscito molto bene (solo 35 i coperti persi): nuove cucine, nuovi impianti per il riciclo dell’aria e l’insonorizz­azione, e le sale riallestit­e con tutta la mobilia, foto, quadri (solo il parquet è stato rinnovato) e lo storico orologio da caricare tutte le mattine, un altro simbolo. Su via Volturno con la bella stagione arriverà anche il dehor. «Oggi ho davvero capito quanto la città voglia bene al Diana, sono emozionato», dice Palmirani. E oggi di nuovo a tavola, come accade dal 1909.

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Presenti La festa del Diana ha visto sfilare tra i tavoli rappresent­anti delle istituzion­i, clienti e amici dello storico ristorante che ha riaperto in via Volturno
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