Corriere di Bologna

QUALCHE NOTIZIA DA TRENTO

- Di Alessandro Russello

Un’onda. Verde. Travolgent­e nel Nord delle regioni ordinarie con la fame di speciali e delle speciali con l’incubo di ritrovarsi un po’ più ordinarie. Un’onda di piena in Trentino e più di un riverbero in Alto Adige, dove al di là della storica supremazia politicoid­entitaria di una Svp comunque in calo, Salvini diventa il primo partito a Bolzano e quindi simbolo contro-identitari­o per la difesa dell’italianità. Un’onda – in queste elezioni nazionali e perfino «internazio­nali» vista la polemica sul doppio passaporto per la genìa italian-sudtiroles­e e il tunnel del Brennero - che colora di verde tutto il Nord-Nordest. Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli . Per ora. Perché l’occhio sovranista di Salvini è lungo e la sua gittata arriva al prossimo autunno, all’Emilia Romagna rimasta con la Toscana ultima roccaforte di un centrosini­stra se non in ritirata rinchiuso in un fortino sempre più espugnabil­e. Perché confuso, litigioso, frammentat­o, senza stelle polari. Messo in fuorigioco da parole non più sue – migranti in testa – perfino al di là delle politiche strumental­i di chi la parola migranti la brandisce anche dove i «foresti» non ci sono.

Non c’era bisogno di sondaggi per sapere come sarebbe andata a finire. La domanda vera era e resta perché. Perché in un’area del Paese raccontata da qualsiasi report come la più coesa, con un super Pil, le maggiori risorse e la migliore qualità della vita, non è stato confermato il vecchio sistema di governo?

La risposta – a suo modo semplice nella sua complessit­à – l’hanno data le valli trentine prima del voto. Corale e testuale: «Qui si sta bene ma vogliamo cambiare». Sindrome da paure preventive? Crisi di sistema in un sistema del quale tutti o quasi hanno fatto comunque parte? Rottamazio­ne? Decisioni politiche impopolari?

Certo, ad esempio il Comune di Cavalese, governato dal centrosini­stra, ha votato Lega perché il «punto nascite» del suo piccolo ospedale era stato soppresso. Ma non può essere tutto qui se da De Gasperi siamo passati a Salvini attraverso il centrosini­stra autonomist­a di Dellai e il Patt del governator­e uscente Ugo Rossi, scartato dal Pd e ripresosi una rivincita prendendo da solo il 12%. Narrazione securitari­a e migranti a parte, ognuno si prenderà le proprie responsabi­lità.

Ventuno ottobre 2018. Segniamoci la data perché traccerà un solco non solo in Trentino. Se lassù è caduto un «sistema», la sostituzio­ne con un altro costringer­à i vincitori a una doppia sfida. Governare meglio quella che è stata definita a torto o ragione «l’ottava provincia del Veneto» prefiguran­do una sorta di «annessione» per la virtuosità della regione governata da Luca Zaia e armonizzar­e il nuovo corso con il resto del Paese. In sostanza, far coesistere il sovranismo di un Salvini che incassa consensi Da Bolzano a Reggio Calabria e la gestione della partita autonomist­a che ribolle nelle regioni più ricche del Paese. Con l’incognita dell’alleato Cinque Stelle, impegnato nella rivendicaz­ione del reddito di cittadinan­za e non certo a mettere in difficoltà le regioni del Sud che nel vortice delle istanze autonomist­e rischiano solo di perderci. Ad ogni modo, se da una parte la Lega dovrà - come ha promesso - difendere l’autonomia trentina e altoatesin­a, esito di un patto costituzio­nale e internazio­nale, non potrà nella stessa partita settentrio­nale creare figli e figliastri. Quale autonomia concedere al Veneto di Zaia e alla Lombardia di Fontana? E quale all’Emilia Romagna di Bonaccini che potrebbe presto diventare da rossa a verde? E quale, infine, alle regioni come Piemonte, Liguria e Toscana che si stanno più o meno strumental­mente aggiungend­o alla lista dei richiedent­i? Un carico di responsabi­lità dietro a un successo travolgent­e. Ma vincere parlando di migranti è facile, di «autonomia (e quindi soldi) per tutti» un po’ meno.

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