QUALCHE NOTIZIA DA TRENTO
Un’onda. Verde. Travolgente nel Nord delle regioni ordinarie con la fame di speciali e delle speciali con l’incubo di ritrovarsi un po’ più ordinarie. Un’onda di piena in Trentino e più di un riverbero in Alto Adige, dove al di là della storica supremazia politicoidentitaria di una Svp comunque in calo, Salvini diventa il primo partito a Bolzano e quindi simbolo contro-identitario per la difesa dell’italianità. Un’onda – in queste elezioni nazionali e perfino «internazionali» vista la polemica sul doppio passaporto per la genìa italian-sudtirolese e il tunnel del Brennero - che colora di verde tutto il Nord-Nordest. Trentino, Lombardia, Veneto, Friuli . Per ora. Perché l’occhio sovranista di Salvini è lungo e la sua gittata arriva al prossimo autunno, all’Emilia Romagna rimasta con la Toscana ultima roccaforte di un centrosinistra se non in ritirata rinchiuso in un fortino sempre più espugnabile. Perché confuso, litigioso, frammentato, senza stelle polari. Messo in fuorigioco da parole non più sue – migranti in testa – perfino al di là delle politiche strumentali di chi la parola migranti la brandisce anche dove i «foresti» non ci sono.
Non c’era bisogno di sondaggi per sapere come sarebbe andata a finire. La domanda vera era e resta perché. Perché in un’area del Paese raccontata da qualsiasi report come la più coesa, con un super Pil, le maggiori risorse e la migliore qualità della vita, non è stato confermato il vecchio sistema di governo?
La risposta – a suo modo semplice nella sua complessità – l’hanno data le valli trentine prima del voto. Corale e testuale: «Qui si sta bene ma vogliamo cambiare». Sindrome da paure preventive? Crisi di sistema in un sistema del quale tutti o quasi hanno fatto comunque parte? Rottamazione? Decisioni politiche impopolari?
Certo, ad esempio il Comune di Cavalese, governato dal centrosinistra, ha votato Lega perché il «punto nascite» del suo piccolo ospedale era stato soppresso. Ma non può essere tutto qui se da De Gasperi siamo passati a Salvini attraverso il centrosinistra autonomista di Dellai e il Patt del governatore uscente Ugo Rossi, scartato dal Pd e ripresosi una rivincita prendendo da solo il 12%. Narrazione securitaria e migranti a parte, ognuno si prenderà le proprie responsabilità.
Ventuno ottobre 2018. Segniamoci la data perché traccerà un solco non solo in Trentino. Se lassù è caduto un «sistema», la sostituzione con un altro costringerà i vincitori a una doppia sfida. Governare meglio quella che è stata definita a torto o ragione «l’ottava provincia del Veneto» prefigurando una sorta di «annessione» per la virtuosità della regione governata da Luca Zaia e armonizzare il nuovo corso con il resto del Paese. In sostanza, far coesistere il sovranismo di un Salvini che incassa consensi Da Bolzano a Reggio Calabria e la gestione della partita autonomista che ribolle nelle regioni più ricche del Paese. Con l’incognita dell’alleato Cinque Stelle, impegnato nella rivendicazione del reddito di cittadinanza e non certo a mettere in difficoltà le regioni del Sud che nel vortice delle istanze autonomiste rischiano solo di perderci. Ad ogni modo, se da una parte la Lega dovrà - come ha promesso - difendere l’autonomia trentina e altoatesina, esito di un patto costituzionale e internazionale, non potrà nella stessa partita settentrionale creare figli e figliastri. Quale autonomia concedere al Veneto di Zaia e alla Lombardia di Fontana? E quale all’Emilia Romagna di Bonaccini che potrebbe presto diventare da rossa a verde? E quale, infine, alle regioni come Piemonte, Liguria e Toscana che si stanno più o meno strumentalmente aggiungendo alla lista dei richiedenti? Un carico di responsabilità dietro a un successo travolgente. Ma vincere parlando di migranti è facile, di «autonomia (e quindi soldi) per tutti» un po’ meno.