C’è Pinocchio il classico riscritto da Jori
In mostra il classico di Collodi manoscritto e illustrato dall’artista per anni a Bologna
«Marcello Jori, Collodi e Pinocchio hanno adottato l’arte del fuggitivo. E la fuga dà accesso e speranza all’eternità».
Così Achille Bonito Oliva spiega che cosa unisce il capolavoro di Collodi con la reinterpretazione che ne ha fornito l’artista nato a Merano nel 1951 e che oggi vive a Milano dopo anni passati a Bologna, dove era arrivato per studiare al Dams negli anni Settanta. L’interpretazione di Jori è affidata a venticinque opere piccole e grandi ad acquerello e acrilico su carta e a olio su tavola in mostra sino a dicembre a Modena, nella Galleria Mazzoli di via Nazario Sauro (l’inaugurazione ieri pomeriggio).
Insieme alle opere, l’esposizione nella storica galleria modenese, da cui sono passati Basquiat e la Transavanguardia, presenta anche la versione manoscritta e illustrata da Jori del romanzo, rilegata a mano in cinque volumi. Da cui è stata anche tratta una versione a stampa in cinquecento copie numerate edita proprio dalla Galleria Mazzoli, così come il catalogo delle opere esposte, anch’esso disponibile in un’edizione limitata di cinquecento copie.
Alla base dell’operazione c’è la passione del gallerista modenese Emilio Mazzoli, che negli anni ha raccolto nella sua preziosa biblioteca tante edizioni particolari di Pinocchio. Uno stimolo trasmesso poi a Jori, definito da Mazzoli «una sorta di Walt Disney italiano», che dal canto suo l’ha recepito ringraziandolo a modo suo, con il persola naggio di Mangiafuoco che presenta i tratti del gallerista modenese. D’altra parte il fascino del personaggio di Collodi non conosce soste, come conferma il fatto che Pinocchio è il terzo libro più letto al mondo dopo Bibbia e Corano. O che continuano a rincorrersi versioni cinematografiche, prossima di Matteo Garrone con Roberto Benigni, che un suo «Pinocchio» l’aveva già realizzato nel 2002, nei panni di Geppetto. Pinocchio era stato tradotto in immagini anni fa anche da Lorenzo Mattotti, sodale di Jori ai tempi del gruppo Valvoline, il collettivo di fumettisti nato nella Bologna del post ‘77.
Il progetto Pinocchio ha assorbito completamente Jori: «È un lavoro che mi ha tolto l’anima - ha raccontato - Ne sono stato posseduto e ho dato veramente tutto, non ho più nemmeno un foglio di carta né un pennello». Insomma, per sua stessa ammissione, Jori si è «arreso all’appetito brutale del burattino», diventando un suo schiavo. Ma il suo non è un libro grafico, ci tiene a precisare, perché «il testo gareggia con le immagini».
Come conferma Bonito Oliva, «Jori affronta la figura anarchica del burattino attraverso un doppio procedimento, la scrittura e l’immagine. Con la prima trascrive manualmente l’intera favola di Collodi e con l’altra dà visione a tutte le peripezie di Pinocchio. Subentra nell’opera la pulsione di un disordine che disarticola la composizione, spingendola verso un ribaltamento dell’ordine costituito». Il testo riprende infatti quello che Collodi iniziò a pubblicare a puntate nel 1881, ma Jori ha scelto di riscriverlo tutto a mano per farlo meglio entrare dentro di lui.
In parallelo ha creato anche un suo «Paese dei balocchi» in cui trovano posto mille riferimenti, dalle opere di Picasso all’universo fumettistico di Linus, che hanno segnato una storia artistica che trasuda energia e vitalità come quella di Jori. «Artista intero» come ama definirsi pensando ai suoi cicli pittorici, ai fumetti, agli oggetti di design e alle foto sperimentali, con ostentato riferimento a quegli artisti del Rinascimento che passavano con disinvoltura dall’arte alla scrittura. Così anche Jori attraversa continuamente l’universo creato da Collodi, che erroneamente aveva definito la sua creatura un burattino quando in realtà si tratta di una marionetta, manovrata con fili e non dal basso con una mano.
Il tono spigliato e arguto con cui l’artista rilegge Pinocchio ci restituisce una sorta di circo visionario nelle sembianze di un «codice minato» scapigliato, sulla scia di quanto Jori aveva già fatto due anni fa in un altro libro da lui illustrato a mano come «La storia dipinta dell’arte».
” Mi sono arreso all’appetito brutale del burattino