Beni culturali per pochi, ma dà sbocchi
Si studia e si pratica per cinque anni gomito a gomito con i docenti, lavorando su oggetti tutelati dalle Soprintendenze. Una formazione quasi ad personam per preparare al meglio i restauratori del futuro. Il 30 novembre l’Alma Mater laurea i primissimi due studenti in Conservazione e restauro dei beni culturali che per legge abilita appunto alla professione. Solo dieci i posti disponibili ogni anno per il corso che ha sede a Ravenna ed è stato avviato nel 2013. «La legge prevede che ogni docente abbia al massimo cinque studenti — spiega Mariangela Vandini, la coordinatrice del corso di laurea —, qui a Ravenna abbiamo attivato due dei sei percorsi possibili, quindi ecco spiegato il numero di dieci». Si tratta di uno studio in cui la parte pratica, in laboratorio, occupa la gran parte del tempo: ogni studente dovrà aver fatto, al termine dei 5 anni, ben 2.250 ore obbligatorie di laboratorio, contro le 1.800 ore, anch’esse obbligatorie, di teoria in aula. I percorsi attivati nel campus romagnolo sono Superfici decorate dell’architettura, che riguarda dipinti, murales, mosaici, stucchi architettonici, e Restauro di materiali ceramici, in vetro e in metallo. «Quest’estate — racconta Vandini — i ragazzi hanno lavorato in un campo a Corinaldo, nelle Marche, dove hanno gli archeologi a portare alla luce la tomba di un principe guerriero piceno». Fin dal primo anno gli studenti lavorano obbligatoriamente per più del 60% con oggetti tutelati, in stretto contatto con le Soprintendenze, i musei e le istituzioni pubbliche da cui arrivano questi beni. «Alcuni di loro — confida la docente — hanno lavorato ad esempio a Bologna per il restauro del Nettuno. Uno di quelli che si laureano a novembre ha fatto invece un restauro stupendo di un oggetto etrusco in metallo del museo Archeologico di Bologna. A Ravenna ce ne sono alcuni che stanno operando ad un affresco di Sant’Apollinare Nuovo». Inutile dire che l’occupazione, una volta laureati, è praticamente sicura.