BERGONZONI TRASCENDE
Debutta al Duse lo spettacolo scritto e interpretato dal bolognese che non dimentica «presente e realtà»
Si svela e si nega. Da quella struttura fatta di tubi metallici che s’impone sul palcoscenico, emerge ora una parte del corpo, ora un’altra. Sembra in gabbia. Fa fatica. Però, una volta lassù, la visione delle cose cambia. Insomma, un’altra dimensione è possibile. Alessandro Bergonzoni, dopo il rodaggio delle anteprime estive, debutta al Teatro Duse di via Cartoleria con il suo nuovo spettacolo, «Trascendi e sali». Scritto e interpretato dallo stesso artista bolognese che ha firmato la regia insieme al sodale Riccardo Rodolfi, in scena da martedì 30 ottobre al 4 novembre (sempre alle ore 21), questo quindicesimo titolo segue - con le dovute accortezze per il verbo «seguire» - il percorso avviato con «Nessi» e mette ancora (di più) in scena, con l’urgenza che richiede, l’attualità. Alla maniera di Bergonzoni, s’intende.
«Trascendere non vuol dire abbandonare la realtà in un momento in cui il legame è strettissimo e lo senti quasi a pelle», anticipava l’altro giorno l’artista bolognese proprio al Duse. Capelli lunghi, magrezza quasi ascetica, «la dimensione del reale – dice – è finita e allora cambiare vuol dire salire su altre scale».
Scale di valori. O chiamatela, se volete, sollevazione. «Viviamo di sollevazioni popolari, ma la sollevazione deve essere esterna e interna». Cita casi come quello di Stefano Cucchi, dei migranti, di «queste economie», a cui opporsi cominciando, appunto, a «trascendere, passare a un’altra dimensione senza dimenticare il presente e la realtà». Ma trascendere, da non intendere come esercizio spirituale, può non essere sufficiente, e allora ecco l’auspicio: «Il risarcimento. Dopo Rinascimento e Risorgimento vorrei parlare del Risarcimento, cioè risarcire, ridare» e se non basta la voce, arriva il corpo.
Il farsi corpo. «E poi c’è il pensare. Io penso spesso - ha confessato l’attore, anche regista - Nel senso di pensare denso, a strati. Oggi viviamo di inchieste ma io cerco l’in-
chiesto, il non chiesto».
Un viaggio simile non può non coinvolgere attivamente il pubblico, metaforicamente in piedi e non comodamente seduto su comode poltroncine di velluto. Tutti in qualche modo coinvolti contro quello che chiama «delirio di impotenza che ci fa dire è più forte di me, non ce la faccio». Perché non si può lasciare «la condivisione ai social» e «la trascendenza solo al Papa».
L’attore poi non può essere solo tale. Non più. Non basta. In questo senso il teatro ormai gli sta stretto.
«Un artista – continua – non può essere solo artista. Lancio un’opa: ho paura, ma voglio pendere parte perché la sofferenza non va accarezzata, ma va abitata».
Di carne al fuoco, come si capirà, ce n’è molta. Riccardo Rodolfi ha spiegato che un lavoro così complesso, proprio sulla scia del precedente «Nessi», ha spostato la risata «da liberatoria a occupatoria». Forse un passo avanti rispetto a «Nessi». O forse, come aggiunge Rodolfi, «un passo a lato».
Di certo, questo è uno di quegli appuntamenti che segneranno la stagione teatrale. Se non altro, perché sarà un capolavoro. Nell’accezione di Alessandro Bergonzoni di «lavorare ad arte. Capolavorare». Per informazioni sullo spettacolo e sui biglietti http:// www.teatrodusebologna.it
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Dopo Rinascimento e Risarcimento vorrei parlare del Risarcimento, di ridare; viviamo di inchieste ma io cerco l’inchiesto, il non chiesto