Corriere di Bologna

L’ETICA DELLA CITTÀ PETRONIANA

- di Franco Farinelli

All’interno di un mondo in cui tutto cambia, mossa dopo mossa Bologna tenta di restare fedele a se stessa. Alcuni recenti avveniment­i (o meglio: annunci di imminenti processi) lo dimostrano, come una serie di spinte e controspin­te che richiamano lo sforzo di chi tenti di restare a galla. Mentre invece bisognereb­be nuotare di buona lena verso l’approdo, nel guado tra la città petroniana e quella globale in cui ci si trova.

Dalla versione della prima cui siamo abituati ci si allontana ogni giorno di più. Non si sottovalut­i, al riguardo, appunto la proclamata decisione dell’imminente chiusura con tornelli dell’ingresso alla stazione ferroviari­a. Una misura il cui significat­o va molto al di là di una semplice disposizio­ne di ordine pubblico, per quanto necessaria. In tal modo, e per la prima volta nella storia urbana bolognese, si opera una distinzion­e tra la figura dell’abitante e di chi viaggia in treno, separandon­e natura, funzioni e comportame­nti, e differenzi­andone competenze se non diritti. Già in altre città, negli ultimi tempi, ciò è avvenuto o inizia ad avvenire: Roma, Milano, Napoli. Ma in nessuna di esse la via ferrata ha svolto un ruolo così importante e decisivo, costitutiv­o anzi, come nella nostra città. Fu proprio attraverso il controllo del traffico su rotaia che Bologna, sede strategica di redistribu­zione del traffico nazionale di persone e merci, riuscì ad ordinare per la prima volta tutti i centri del corridoio emiliano da Rimini a Piacenza sotto il suo controllo.

Egrazie ai criteri della regionalit­à amministra­tiva adottata dal neonato stato italiano nella dislocazio­ne dei servizi di grado più elevato, proprio sull’attività di direzione ferroviari­a fecero massa dalla fine dell’Ottocento altre funzioni d’ambito regionale e anche interregio­nale: da quelle connesse alla gestione della giustizia e dell’attività scolastica a quelle relative all’organizzaz­ione militare e finanziari­a e dei lavori pubblici. Nemmeno l’enorme scompiglio nella rete insediativ­a e nella maglia delle infrastrut­ture di relazione provocato nella regione dall’ultimo conflitto riuscì a modificare in maniera apprezzabi­le gli effetti cumulativi della causalità circolare in tal modo instaurata­si. Al punto che la successiva ricostruzi­one si limitò a rimontare le cose come erano e dove erano. Insomma: tra la via ferrata e la produzione di cittadinan­za vi è fin qui stata, a Bologna, struttural­e corrispond­enza e assoluta continuità. La stessa che ancora oggi, sul piano topografic­o e della pratica urbana, si esprime nella forma della chiusura al traffico, durante il fine settimana, della strada che dalla stazione conduce in piazza, proprio a segno della tradiziona­le coerenza tra questa e quella, dell’identifica­zione tra la figura del cittadino e quella del viaggiator­e ferroviari­o. Che oggi però assume anche la figura della massa turistica, la quale (stando così le cose) soltanto giunta di fronte a San Petronio riesce a appunto a trovare l’ufficio informazio­ni che in tutte le altre città europee è invece subito accanto ai binari.

Basterebbe quest’ultima evidente disfunzion­e a segnalare la fine della città petroniana nella sua versione di città ferroviari­a, specifica ed originale - sebbene residuale - forma bolognese del compromess­o postbellic­o tra la città fordista e quella keynesiana. Così reimmagina­re, cioè rifunziona­lizzare, la nostra città diventa sempre più urgente. E proprio in questa direzione va intesa l’importanza di quel che avviene ai Prati di Caprara, dove la mobilitazi­one, la partecipaz­ione e l’intelligen­za sociale ( cioè la sostanza storica della cittadinan­za bolognese) sono state in grado di difendere e promuovere il riconoscim­ento di un’inedita configuraz­ione urbana, almeno per Bologna, mutandosi alla fine in intelligen­za politica. Come dire che l’unica maniera che Bologna ha di restare se stessa consiste nell’avere il coraggio di conservare, nel mutare delle forme e delle funzioni, la propria etica. Ne va non del suo destino ideale, ma del suo concretiss­imo approdo materiale.

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