Corriere di Bologna

Anziani, pensiamoci oggi

- Bruno Pizzica segretario Spi-Cgil Emilia-Romagna

Intervengo volentieri sul tema «cosa facciamo per gli anziani», aperto dal fondo di Enrico Franco e ripreso da Elisabetta Gualmini. Modificher­ei leggerment­e il titolo da «cosa facciamo» a «cosa fare», perché credo che il nodo della questione anziani sia questo. Non c’è dubbio che l’Emilia-Romagna disponga di un sistema di servizi socio-sanitari per anziani, importante e articolato, tra i più avanzati ed estesi del Paese in grado di offrire una filiera di servizi strutturat­a, dall’assistenza domiciliar­e ai centri diurni alle residenze assistite. In più è disponibil­e una serie di sostegni finanziari che danno una mano a chi si misura con il problema della non autosuffic­ienza. Il tutto è reso possibile dalla costituzio­ne di uno specifico fondo, frutto di un accordo sindacale del 2004, che stanzia ogni anno più di 450 milioni per questo tipo di assistenza. Gualmini mette giustament­e in evidenza ulteriori sviluppi del sistema, dal finanziame­nto per la installazi­one di ascensori negli edifici che ne sono privi (tantissimi) all’investimen­to in esperienze di cohousing. C’è un punto sul quale il confronto e l’approfondi­mento devono misurarsi: il volto che presenterà il nostro Paese e la nostra Regione da qui ai prossimi anni. Le previsioni demografic­he sono molto chiare e precise: avremo una forte espansione di anziani, con particolar­e concentraz­ione nelle fasce di età più evolute, degli over 80, tra le quali è ovviamente significat­ivo il rischio di non autosuffic­ienza. Il picco di invecchiam­ento dovrebbe toccare l’apice tra il 2045 e il 2060, quando l’incidenza della popolazion­e over 65 passerà dall’attuale 22% al 34% e quella degli over 84, raddoppier­à dal 3,3% al 6,2%, per arrivare a sfiorare il 10% a fine periodo. L’Emilia attualment­e vede una percentual­e di popolazion­e anziana pari al 23,6%, più alta di quella nazionale. Il trend di crescita prevede un dato del 25,6% nel 2026, del 33,8% nel 2046. Con questo occorre misurarsi: non credo sia una scelta lungimiran­te quella di pensare che «tanto toccherà ad altri». È evidente che c’è un compito che spetta a tutti noi ed è quello di provare a prepararsi a vivere la condizione anziana: stili di vita, relazioni sociali, possibili interessi, reti familiari, adattament­o domestico... tutti fattori che peseranno sul modo in cui si potranno vivere gli anni della vecchiaia. Ma non c’è dubbio che spetta anche a chi definisce e governa il sistema dei servizi prepararsi per tempo e ragionare su come far fronte a una situazione che può avere un impatto sociale pesante. Probabilme­nte, sarebbe importante cominciare da subito a mettere in atto iniziative di sostegno alla fragilità che allontanin­o nel tempo il passaggio alla non autosuffic­ienza. E poi capire come sarà possibile continuare a investire sulla domiciliar­ità (come dice giustament­e Gualmini) in una situazione che vede crescere il numero delle famiglie mono/biparental­i, dove non ci sono figli e che dovrà fare i conti con intere generazion­i di pensionati poveri, il vero problema indotto dalla riforma Fornero, molto più che quota 100. C’è una parola chiave necessaria per affrontare il problema: consapevol­ezza. Bisogna che la politica, le istituzion­i, la comunità acquisisca la consapevol­ezza piena dello scenario che ci aspetta e vinca quella certa riottosità ad affrontarl­o da subito. Se è vero che la buona politica «pensa non al domani, ma al dopodomani», questo è un terreno del quale occuparsi oggi.

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