IL NORD E IL FRONTE DEL FARE
Se io faccio il Tap, tu fermi la Tav. Non è un giochetto, ma la pressioneprovocazione lanciata dal vicepremier Luigi Di Maio al «pariruolo» leghista Matteo Salvini. Il braccio di ferro, ovviamente smentito dopo l’ennesimo vertice a Palazzo Chigi, è presto riassunto. Di Maio si dice «costretto» a dare il via libera al gasdotto Trans-Adriatico, destinato ad approdare in provincia di Lecce, e di fronte alle ire del suo elettorato, ancorato al sogno della decrescita felice, chiede in cambio a Salvini lo stop all’alta velocità ferroviaria. È evidente che le grandi opere si mostrano ogni giorno di più come il banco di prova del governo. Il vero nodo, però, va persino oltre la tenuta del contratto giallo-verde. Il rischio è di spaccare in due il Paese e di fare esplodere quella Questione Settentrionale già affiorata con il Decreto dignità e rinfocolata con la presentazione della manovra finanziaria. Sulle infrastrutture, si gioca una partita che, in particolare nel triangolo industriale Milano-Venezia-Bologna, ha compattato un «fronte del fare» che riunisce categorie economiche, sindacati, associazionismo civico. I grillini stanno conducendo la madre di tutte le battaglie. Obiettivo: bloccare la Tav TorinoLione. Poco importa che fermare i cantieri in Val di Susa comporti le stesse conseguenze miliardarie che hanno «costretto» Di Maio a dire sì alla Tap (più che di penali, si tratta di richieste di risarcimento danni, senza contare i soldi buttati per lasciare i lavori a metà).
La posta in palio è chiarissima. Se si stoppa la Torino-Lione, a maggiore ragione i 5 Stelle chiederanno l’abbandono dell’alta velocità tra Brescia e Padova. La Pedemontana Lombarda sarà destinata a finire nel dimenticatoio, mentre Luca Zaia avrà il suo bel daffare per difendere la Pedemontana Veneta, realizzata al 55 per cento. Stesso discorso da parte dei presidenti delle province di Trento e Bolzano per quanto riguarda il tunnel del Brennero, giunto ormai a un terzo degli scavi previsti. In Emilia, destino segnato per il Passante di mezzo e la bretella CampogallianoSassuolo. E l’elenco potrebbe continuare con la Gronda di Genova, il terzo valico dei Giovi, eccetera eccetera.
Non c’è niente da fare: Di Maio e i grillini vedono le opere pubbliche come fonte di scandali, mangiatoie, nella migliore delle ipotesi concessioni alle lobby che si arricchiscono sulla pelle dei cittadini, per giunta danneggiando l’ambiente. Il Nord che produce e che porta le merci in giro per il mondo (Lombardia, Emilia Romagna e Triveneto valgono 265 miliardi di export, il 60 per cento del totale Italia) ha invece fame di infrastrutture in quanto strumento per competere, investimento necessario per fare crescere il Pil e creare occupazione. Per questo continua a confidare in Salvini. Ultima conferma, le elezioni provinciali in Trentino Alto Adige. Il punto è che questo non è un derby Salvini-Di Maio o Nord-Sud. Qui c’è in ballo l’interesse del Paese.