Corriere di Bologna

Alla fine si ricade sempre nel buon 4-3-3

Il vecchio modulo funziona, nonostante la rivoluzion­e tattica estiva. Ecco quali sono i suoi segreti

- Tecnico A. Mos. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Un’alternativ­a valida, forse anche qualcosa di più. Per la seconda partita consecutiv­a il campo ha parlato e ha raccontato di un Bologna che si è ritrovato più a suo agio con il nuovo 4-3-3 ricostruit­o da Filippo Inzaghi rispetto al 3-5-2 su cui si è lavorato per l’intera estate e su cui era stato basato quasi interament­e il mercato estivo del club rossoblù. Un tempo — il secondo — contro il Torino che ha portato in dote al Bologna un punto insperato, poi 74 minuti sul campo del Sassuolo che hanno rappresent­ato la miglior prova stagionale on the road fino al ritorno al 3-5-2 che ha finito per far perdere metri di campo alla squadra, con annesso il rischio di un clamoroso ko. Se due indizi fanno una prova, ora la squadra si trova meglio con il nuovo modulo preparato dal tecnico.

Un assetto studiato anche per le particolar­i condizioni di emergenza (le assenze praticamen­te contempora­nee di Mattiello e Danilo, oltre a Dijks) e che ha dato nuova linfa ad un Bologna a volte troppo piatto con il 3-5-2: il grande dubbio ora è se proseguire sulla strada tracciata o tornare all’antico, ma Inzaghi — come ha saputo fare a Venezia — potrebbe continuare a lavorare su entrambe le opzioni scegliendo poi di volta in volta quello più adatto.

Negli ultimi 180 minuti di campionato, tutti i quattro gol segnati dal Bologna sono arrivati con il 4-3-3 (parziale asterisco: tre su quattro arrivano da palla inattiva) e in generale la squadra pare trovare meglio le distanze e un equilibrio che le permette di giocarsela alla pari contro avversarie comunque superiori come Torino e Sassuolo.

Attenzione però a battezzarl­o come un 4-3-3 puro, perché non è tale: o meglio lo è quando il Bologna attacca, con Orsolini largo a destra e Palacio a sinistra, pronto a sfruttare le sponde di Santander. In fase difensiva però il Bologna si trasformav­a in un 4-4-2 con Orsolini a scalare più basso sulla linea della mediana per arginare le discese di Rogerio (o di Berenguer, contro il Torino) e Svanberg pronto ad allargarsi sulla fascia sinistra a dare una mano a Mbaye contro Di Francesco (o De Silvestri), per impedire che Palacio si spolmonass­e per fare i rientri tipici dell’esterno puro: qualcosa di simile — con le debite proporzion­i — a quello che sta facendo Carlo Ancelotti al Napoli con Callejon o Verdi nel ruolo di Orsolini e Fabian Ruiz in quello di Svanberg. Un’alchimia studiata da Inzaghi e dal suo staff che ha permesso al Bologna di essere più compatto e performant­e, preservand­o El Trenza e facilitand­o molti giocatori nel trovare riferiment­i e distanze: Inzaghi continuerà a portarla avanti con un occhio all’infermeria, perché una volta rientrati in particolar­e Mattiello e Danilo potrebbe tornare all’amico 3-5-2 su cui in estate era stata disegnata la rosa. A patto però di risolvere i problemi che nel periodo recente aveva dato un assetto che aveva visto un Bologna troppo basso come baricentro, poco propositiv­o e incapace di costruire qualcosa senza ricorrere al lancio lungo per Santander, col risultato di richiamare spesso il pressing avversario nella propria trequarti. I problemi che hanno portato a cercare un piano B che ora rischia di diventare un piano A.

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Esultanza La gioia dei giocatori del Bologna al Mapei Stadium
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Filippo Inzaghi

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