Igor ora vuole silenzio su di sé, primo faccia a faccia con i Verri Chiesta una perizia psichiatrica
Al via il processo in videoconferenza, il killer: non fate stare i giornalisti
Il «camaleonte» se ne sta seduto su una sedia di plastica azzurra con le manette ai polsi. Maglietta nera e pantaloni scuri, la barba corta e curata, un’espressione che non tradisce emozioni. Intorno a lui solo sedie vuote, sulla destra un agente della penitenziaria, alle sue spalle due interpreti. Il tempo dei selfie scattati durante la latitanza e dei camuffamenti è finito, ora l’unica immagine che offre di sé rimbalza da una saletta del carcere di massima sicurezza di Zuera (Saragozza) all’aula 9 del Tribunale di via Farini. Igor parla in un italiano corretto, risponde con brevi monosillabi alle domande tecniche che il giudice Alberto Ziroldi gli rivolge. «Sì, sono d’accordo», dice quando gli viene chiesto se accetta la scelta del rito abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica avanzata dai suoi difensori. Poche parole, ancora, per chiudere le porte del processo alla stampa: «Non voglio un processo pubblico, niente giornalisti», dice in video l’uomo che, da detenuto, continua a ricevere lettere e raccogliere consensi. E a quanto pare perfino qualche aiuto economico: in carcere arrivano puntuali piccoli versamenti su una chiavetta che ha ogni detenuto per le spese correnti. Li manda un’associazione di cattolici ortodossi.
«Igor il russo», al secolo Norbert Feher, serbo, affronta la giustizia italiana, quella a cui per troppo tempo è riuscire a sfuggire quando era ancora e solo un rubagalline. Deve difendersi da 11 capi d’imputazione. Il killer che si è lasciato dietro di sé cinque morti in due Paesi diversi e si è fatto beffe dello Stato italiano e della gigantesca caccia all’uomo messa in piedi dai carabinieri nelle paludi tra Molinella e Ferrara, dirà la sua verità nelle prossime udienze. Prima ancora delle sue dichiarazioni spontanee — nelle quali ammetterà gli omicidi di Davide Fabbri e della guardia ecologica volontaria, pur in una logica criminale tutta sua, ma negherà le rapine commesse durante la fuga che gli vengono contestate — il giudice Ziroldi dovrà decidere se concedere l’abbreviato condizionato a una perizia psichiatrica o il semplice rito alternativo che dà diritto al relativo sconto, come chiesto in subordine dai suoi difensori, avvocati Cesare Pacitti e Gianluca Belluomini. Nel frattempo è stata disposta l’acquisizione della perizia disposta dai giudici spagnoli che hanno incontrato Feher in carcere («narcisista, antisociale, con un disturbo misto della personalità ma con capacità cognitive integre»).
La decisione arriverà il 28 novembre. La difesa, come spiegato dall’avvocato Pacitti, «punta al massimo su una seminfermità di mente perché ci sono dei disturbi, dalla consulenza del professor Vittorio Melega emergono elementi che vanno valutati». L’udienza si è chiusa in poco meno di due ore, quasi tutte dedicate alle costituzioni di parte civile. Saranno nel processo Emanuele e Francesca, i figli di Verri, assistiti dall’avvocato Fabio Anselmo; Maria Sirica e Franco Fabbri, vedova e padre del barista Davide, rappresentanti dall’avvocato Giorgio Bacchelli; poi Marco Ravaglia, l’agente provinciale rimasto ferito mentre era in pattuglia con Verri e che è scampato alla morte fingendosi morto. E, ancora, l’associazione servizi vigilanza ambientale di Legambiente per cui operava Verri. Nessun ente pubblico si è costituito.
Per la prima volta i figli di Verri hanno potuto guardare in faccia, seppure attraverso uno schermo, l’uomo che ha tolto loro il bene più caro. La loro rabbia l’hanno ancora una volta indirizzata verso le istituzioni per quella morte che, hanno ribadito, si poteva e doveva evitare. Non se l’è sentita di essere in aula Maria Sirica, la moglie di Davide Fabbri. È rimasta al bar Gallo alla Riccardina di Budrio. Il dolore è ancora troppo grande: «Non sto bene, devo ringraziare Igor e lo Stato per questo. Aveva due espulsioni sulle spalle e se lo Stato avesse fatto il suo dovere non sarebbe mai entrato al bar. Ora mi aspetto che venga fatta giustizia, per Davide e per tutti quelli che ha fatto soffrire».
La vedova Fabbri Maria Sirica: «Non sto bene, devo ringraziare Igor e lo Stato per questo»