FINTA CIECA, ORA RISCHIA TRE ANNI
Inps chiede i danni
Avrebbe intascato 900 euro al mese per dodici anni come pensione di invalidità per ciechi, ma in realtà secondo l’accusa vedeva almeno da un occhio. Per questo una 39enne di Castello d’Argile, ma originaria del Casertano, rischia adesso una condanna a due anni e dieci mesi con l’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. L’Inps, costituita parte civile nel processo ha chiesto alla donna di risarcire 260mila euro di danni.
Avrebbe intascato 900 euro al mese per dodici anni come pensione di invalidità per ciechi, ma in realtà secondo l’accusa vedeva almeno da un occhio. Per questo una 39enne di Castello d’Argile, ma originaria del Casertano, rischia adesso una condanna a due anni e dieci mesi con l’accusa di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. L’Inps, costituita parte civile nel processo che ieri è arrivato alle battute finali, ha chiesto alla donna di risarcire 260mila euro di danni, di cui circa 129.000 euro per gli assegni pensionistici erogati dal 2003 al 2014, e il resto per danni d’immagine e morali. Era stata però la stessa commissione medica dell’Inps, parte civile nel processo e rappresentata dall’avvocato Oreste Manzi, a certificare la cecità della donna, tramutando la pensione per ipovedente, circa 300 euro, in pensione per invalidità totale da 900 euro mensili. Poi, nel 2014, una segnalazione anonima e molto circostanziata al 117 aveva dato il via alle indagini della Finanza. Per mesi i militari hanno seguito la donna, girando video e scattando fotografie mentre camminava per strada con un accompagnatore, altre volte però mentre attraversava da sola sulla strisce pedonali senza esitazioni. In altre immagini si vede l’imputata fare la spesa al supermercato, prendere i barattoli dagli scaffali e avvicinarli agli occhi per leggere le etichette, o ancora controllare una ricevuta dopo aver fatto una ricarica telefonica in tabaccheria. Nel 2016 la Finanza chiuse le indagini e denunciò la donna, che lavora all’ospedale di Bentivoglio come centralinista, assunta tra le categorie protette. Ieri la 39enne è comparsa davanti al giudice Massimiliano Cenni e ha risposto alle domande, senza però riuscire a spiegare il motivo di quelle immagini. Tra le lacrime, l’imputata ha raccontato della malattia congenita di cui sarebbero affetti quasi tutti i componenti della sua famiglia, una malattia degenerativa che porta al distacco della retina degli occhi fino alla cecità. Ma secondo l’accusa nel caso dell’imputata almeno in un occhio ci sarebbe un residuo visivo di tre decimi che non la configura come cieca totale. «Qui non stiamo parlando di ciechi che guidano l’auto, ma di una persona che è comunque ipovedente grave», afferma l’avvocato della difesa Tanja Fonzari.