L’alpinista Cenacchi e la sua ultima battaglia contro la malattia
Il diario
«Tutto il suo diario è come un lungo salmo, con la stessa intensità, angoscia, abbandono, rabbia, disperazione, gioia del salmista, che grida la propria sofferenza e tutta la sua angoscia di fronte a un Dio che non sente vicino, da cui vorrebbe, esige risposte, ma che appare drammaticamente troppo lontano». Così l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, introduce la nuova edizione di «Cammino tra le ombre», il diario con cui l’alpinista, scrittore e documentarista bolognese Giovanni Cenacchi ha raccontato la malattia che nel 2006 lo ha portato alla morte a soli 43 anni.
Un volume diventato già un classico tanto che — dopo essere stato pubblicato postumo da Mondadori nel 2008 — viene ora riproposto da Quodlibet in una nuova edizione, presentata ieri nella Sala Stabat Mater dall’Archiginnasio dallo stesso Zuppi (autore di uno scritto inserito nel libro) con il teologo Vito Mancuso e lo scrittore Giuseppe Mendicino. Cenacchi, nato un po’ per caso a Cortina d’Ampezzo, cresciuto a Bologna è stato segnato in modo indelebile dall’amore per la montagna, a cui si era dedicato come alpinista e come scrittore, sospeso tra Bologna e Cortina. Uno dei suoi libri più noti — oltre a «Teatri di guerra sulle Dolomiti» con Mario Vianelli e «K2. Il prezzo della conquista», in cui il racconto si intreccia a un’incalzante intervista a Lino Lacedelli, custode dei segreti dell’avventura del K2 — era stato nel 2003 «I Monti Orfici di Dino Campana», mix di critica letteraria e trekking appenninico.
In quello stesso anno, quasi senza preavviso, a Cenacchi era stata diagnosticata la grave forma tumorale che nel 2006 lo avrebbe portato alla morte. Il libro, idealmente indirizzato alla figlia Viola, è il resoconto di una sofferenza irreversibile e di una battaglia combattuta lo stesso. Costruito in gran parte come raccolta di aforismi, è un dialogo sofferto con Dio, mutato nel corso dei tre anni in cui la malattia progrediva.
«Le parole di Cenacchi sono un dono» scrive Emanuele Trevi nella prefazione. Un talismano per Monsignor Zuppi, che definisce il libro «un documento di alto valore letterario e al tempo stesso un testo quasi religioso, duro e necessario, dove la scrittura, scarna ed essenziale, tenta di trovare una giustificazione al dolore, acquietandosi da ultimo in una rassegnazione che non ha nulla della sconfitta. Giovanni descrive tutta la brutale cattiveria del male e aiuta a renderlo inaccettabile quale esso è sempre».