Il caso del ginecologo Ghi Impugnata l’assoluzione
Il piccolo morì dopo un parto indotto. I pm impugnano la sentenza di primo grado
La Procura ha impugnato l’assoluzione di Tullio Ghi, l’ex ginecologo del Sant’Orso- la (ora a Parma) che era finito a processo per la morte di un neonato di 4 giorni causata dalle lesioni dovute a un parto naturale in cui c’era stato un uso abbondante sia di ossitocina che della ventosa.
Sembrava chiusa con l’assoluzione in primo grado la vicenda giudiziaria del ginecologo Tullio Ghi, accusato di omicidio colposo per la morte di un neonato al Sant’Orsola nel 2014. Invece la Procura non si arrende: nei giorni scorsi il pm Roberto Ceroni ha impugnato la sentenza di assoluzione in abbreviato, pronunciata dal gup Alberto Gamberini il 2 maggio scorso, nei confronti del ginecologo ora passato a insegnare alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma.
L’inchiesta era partita dalla denuncia dei genitori del piccolo Gianmarco Z., morto il 14 giugno 2014 dopo quattro giorni di agonia, dovuti ai pesanti traumi e all’emorragia riportati durante un parto naturale con ventosa, eseguito in regime di libera professione. Per il pm Ceroni e i consulenti dell’accusa, Ghi, blasonato ginecologo del Sant’Orsola, aveva causato la morte del piccolo sia perché aveva anticipato il parto, per eseguirlo in libera professione, con l’ossitocina, pur non essendoci le condizioni cliniche, sia perché, all’insorgere della sofferenza fetale, non aveva optato per il cesareo usando invece ripetutamente la ventosa, che provocò i danni cerebrali al neonato.
Ma il processo si è svolto attorno a una guerra di perizie contrastanti tra accusa e difesa: infine, quella super partes disposta dal giudice Gamberini, non ha ravvisato profili di colpa certi nei punti contestati dall’accusa, ma ne ha introdotto uno nuovo, cioè il fatto che il ginecologo a un certo punto del travaglio, quando la sofferenza fetale si manifestò, avrebbe dovuto sospendere la somministrazione dell’ossitocina. Conclusioni non del tutto assolutorie, ma neanche di condanna certa, che hanno indotto il giudice Gamberini ad assolvere con formula piena «perché il fatto non sussiste» sia il ginecologo che l’ostetrica che aveva assistito al parto. La famiglia del bambino nel frattempo ha ritirato la costituzione di parte civile dopo aver raggiunto un accordo con la Ausl per un maxirisarcimento di quasi un milione. Dopo la bufera giudiziaria, che investì per l’omessa denuncia della morte sospetta anche i vertici del policlinico, poi archiviati, la direzione sanitaria ha anche modificato in maniera più restrittiva il regolamento sull’intra moenia.
Alla sbarra tornerà solo il ginecologo, per il quale il pm aveva chiesto una condanna a un anno di carcere in abbreviato, mentre la posizione dell’ostetrica, per cui anche la Procura aveva chiesto l’assoluzione, non è stata impugnata. Nell’appello il pm contesta punto per punto le motivazioni della sentenza di assoluzione, in sostanza ritenendo che il giudice abbia sposato le tesi dei consulenti della difesa a scapito di quelli dell’accusa, senza adeguatamente motivare l’assenza di un nesso causale tra il comportamento del medico e la morte bambino. «Ci aspettavamo che la Procura impugnasse — osserva l’avvocato Stefano Bruno che difende Ghi insieme al collega Gino Bottiglioni —. Ne abbiamo preso atto, abbiamo letto con attenzione i motivi di appello e possiamo dire che aspettiamo il processo di secondo grado con serenità, fiduciosi di una conferma della sentenza assolutoria».
Per il pm Ceroni, il gup Gamberini ha sposato le tesi dei consulenti della difesa