Fondazione Fico è già cultura del cibo
«Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita», suggeriva Pellegrino Artusi. Ad Artusi — ma anche ai suoi epigoni, Olindo Guerrini in primis — ho dedicato in questi 20 anni ricerche e pubblicazioni, riverenze appunto, sino a proporre (nella prefazione del libro di Napoleone Neri A tavola con il dottor Balanzone, ed. Pendragon) di candidare la Cultura gastronomica bolognese a «Patrimonio Culturale Immateriale Unesco». I presupposti sono consolidati: storici, culturali e scientifici, innanzitutto. Bologna: la Grassa — nel senso di conviviale, ricca, stimolante, dai tempi di Plinio a oggi —; e, come sappiamo, Bologna la Dotta, per la tradizione umanistica e scientifica che dona al cibo un valore aggiunto: quello di salutare e sostenibile. Conciliare la Grassa e la Dotta è obiettivo del parco agroalimentare più grande del mondo, Fico, Fabbrica Italiana Contadina ma anche dell’Innovazione e della Conoscenza. Dove non vige una cultura dei «taglieri» avulsa da quella dei «saperi», ma si punta a percorrere palato e stomaco, cuore e testa dei commensali per consapevoli «magnazze» (quelle menzionate da Paolo Formica nell’editoriale sul Corriere di Bologna) al passo con i tempi, con l’occhio al futuro. Penso a Robert Puglisi, grande star del «future food», capace di dialogare con le questioni epocali. Ricercatore a Stanford University, ha messo a punto squisiti burger vegani che concorrono a risposte concrete sul tema globale della sottoalimentazione. Lo abbiamo premiato a Fico tre settimane fa nell’ambito di Bologna Award 2018, invitando la città alla degustazione dei suoi burger. Tutta una «magnazza»? Chiediamolo a Sunita Narain, direttore del CSE di New Delhi, il Centro per la Ricerca Scientifica e Ambientale che si occupa del cibo in rapporto all’impatto ambientale, alla salubrità e sostenibilità della produzione agricola. È una delle 100 più autorevoli figure del mondo secondo Time, sarà a Fico il primo dicembre per ritirare Bologna Award 2018, istituito da CAAB e Fondazione FICO. Vogliamo restare in Italia? Parliamone con Dévelo, l’associazione di studenti della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano. «Coltivano» l’agroecologia, motivo della menzione speciale assegnata quest’anno sempre da Bologna Award. Al pubblico di Fico, nell’arena centrale, hanno raccontato i progetti innovativi di produzione agroalimentare esportati ad Haiti per formare i contadini afflitti dalla piaga delle aflatossine. Sono solo tre esempi, ma Fondazione Fico produce quotidianamente contenuti, progetti e percorsi legati alla sostenibilità e all’educazione alimentare, fruibili gratuitamente: in 12 mesi ha organizzato 250 eventi, offrendo oltre 500 ore di formazione gratuita, costruendo un network al quale afferiscono, fra gli altri, la FAO e il ministero dell’Ambiente, oltre alle principali istituzioni del territorio, dalla Regione Emilia-Romagna al Comune di Bologna, Città Metropolitana, Camera di Commercio, Bologna Welcome, Università di Bologna, Last Minute Market, Future Food Institute. Per questo è importante e strategico che Fico diventi il punto baricentrico del sistema agroalimentare italiano: dal punto di vista della ricerca e della innovazione, inclusa quella imprenditoriale. Educazione alla sostenibilità, educazione al consumo, sostegno all’innovazione produttiva agroalimentare. Non chimere, ma iniziative del nostro quotidiano. Tutta una «magnazza»? Parliamone dal 13 al 16 novembre, con gli eventi dedicati al primo anno del Parco. Guardando il film di Movie Movie che racconta, per la voce di Patrizio Roversi, come la città abbia rigenerato un asset pubblico. O sfogliando Alla bolognese, il libro curato da Massimo Montanari per Il Mulino. O, ancora, ragionando di dieta mediterranea applicata alle tradizioni locali il 16 novembre, Giornata Mondiale di questo stile di vita riconosciuto dall’Unesco come patrimonio mondiale.