Dix
tante cose attorno ai Propagandhi, morti di familiari, nascite di figli, abbandoni (la nuova chitarrista Sulynn Hago è stato scelta tra più di 400 candidati) ma l’approccio alla vita e alla musica non è mai cambiata di una virgola. L’ultimo album, «Victory lap», è giunto nei negozi a distanza di cinque anni dal suo predecessore «Failed states» e ne è il perfetto seguito. Punk rock a mille all’ora con una base melodica molto accentuata e testi assai critici nei confronti del razzismo
Il non detto a volte parla più delle parole e scoprirlo può scatenare effetti imprevisti. Dirompenti. Gioele Dix dirige la commedia «A testa in giù» con Emilio Solfrizzi e Paola Minaccioni (accanto a loro, Bruno Armando e Viviana Altieri).
Scritta da Florian Zeller con il titolo originale di «L’envers du dècor», portata in scena trionfalmente per la prima volta da Daniel Auteil tre stagioni fa, la commedia debutta domani alle 21 al Teatro Duse (repliche sabato alle 21 e domenica alle 16). «Si parte dalla più classica e francese delle situazioni: una cena tra amici», racconta Gioele Dix. Daniel e sua moglie invitano un vecchio amico, Patrick, e la sua nuova compagna. Ma, a proposito del non detto, l’interesse si concentra maggiormente sui pensieri dei convitati. Perché il pubblico in sala sa molto più dei protagonisti in scena e, man mano che le maschere cadono, il doppio binario su cui scorre la trama sortirà risultati sorprendenti.
Gioele, perché questo allestimento?
«Io ed Emilio siamo amici da molti anni. Comici entrambi, abbiamo però una grande passione per il cinema e il teatro. È stato lui a trovare la pièce. Ha visto a Parigi la commedia e mi ha chiesto: “Te la sentiresti?”» Che effetto fa sugli attori una dinamica simile?
«È al tempo stesso affascinante, perché lavorano su due partiture parallele, e difficile perché la commedia ha i suoi tempi, e questi non si insegnano, li devi avere: proprio perché il tempo del pensiero è più veloce e l’azione, quando sentiamo il pensiero, quasi si congela, sembra di lavorare in un insieme di corto circuiti. Ma gli attori sono stati bravissimi».
Senza nulla togliere a Solfrizzi: non le sarebbe piaciuto vestire i panni del protagonista?
«Effettivamente da attore sarebbe allettante, ma in questi ultimi anni ho intrapreso una carriera di regista che mi dà molta soddisfazione. Mi piace dirigere attori bravi senza sovrappormi, il mio ego non ha bisogno come certi registi di esplodere facendo fare agli attori cose strane. Piuttosto mi piace essere loro complice».
L’essere anche attore comico le facilita il compito?
«Conosco le fragilità e gli individualismi dei comici e ciò mi fa capire prima quando devo mediare in questo mondo complicato. Ma in questo caso è stato più facile, perché sia Paola che Emilio amano molto il teatro».
Il detto e non detto nell’amore, anche in questa commedia, scuote gli animi, risveglia in eterno frustrazioni, gelosie: dilagante e dell’abuso di potere e del nuovo inquilino della Casa Bianca.
Se il punk non è tra le vostre preferenze ed amate il rock’n’roll, quello più sporco e caciarone, le Nashville Pussy sono al Freakout (ore 21). Se invece vi appassionano i supergruppi, al Covo (ore 22.30) arrivano i Dunk, che in questo tour hanno Riccardo Tesio (Marlene Kuntz) alla chitarra. A Bologna lei ha provato i suoi primi lavori di cabaret e ha portato gli spettacoli praticamente in ogni teatro: qual è il suo rapporto oggi con la città?
«Bologna mi è profondamente nel cuore. Da fine anni Settanta e i due decenni successivi è stata molto importante per chi faceva teatro. Qui ho il piacere ancora di incontrare persone che hanno visto tre, quattro miei spettacoli e non mi conoscono solo per la tv».