Corriere di Bologna

ROBERTO, IL BOLOGNESE

- Di Marino Bartoletti

Fra una settimana sarà il compleanno di Roberto il bolognese. Roberto è di Borgo Panigale, Roberto è di via Emilia Levante, Roberto è di San Lazzaro, Roberto è di via Andrea Costa, Roberto è dei Giardini Margherita. Roberto ama questa città più di tutte le altre. Roberto ha scelto la «sua» Bologna per far esordire ufficialme­nte la «sua» Nazionale. Roberto sabato a San Siro sperava di più dalla Giovane Italia: ma certamente ha invertito un trend disastroso. Fino a un anno fa l’Italia era fuori dal Mondo: ora, almeno, è ufficialme­nte in Europa.

Roberto arrivò a Bologna a tredici anni da Jesi. Babbo Aldo (falegname) e mamma Marianna lo videro partire con l’apprension­e e forse anche il dolore di chi vede allontanar­si un figlio: ma anche con la consapevol­ezza di chi sapeva che aveva fatto la cosa giusta. La leggenda narra che dovesse andare al Milan, ma che la lettera di convocazio­ne venne mandata per sbaglio alla Real Jesi e non all’Aurora Jesi, sua società di appartenen­za. Il resto è storia nota. Prima panchina in Serie A a sedici anni. Prima partita non ancora diciassett­enne. Primo gol a meno di diciotto anni. Roberto è stato uno dei più grandi giocatori della storia del calcio italiano. È incredibil­e come abbia sfiorato tre Mondiali (1982,1994,1998) e come nel 1990, nell’unico in cui è stato convocato, non sia sceso in campo neanche per un secondo (assieme all’altro «turista» Ciccio Marocchi con cui aveva condiviso gli inizi in rossoblu).

Roberto, a Bologna, praticamen­te aveva esordito in maglia azzurra a quasi 22 anni, un paio di estati dopo le due comparsate americane che sembravamo spianargli la strada in Nazionale e che invece, per colpa di una birichina, ma innocente passeggiat­a notturna a New York, gli costarono la fiducia di Bearzot. Così dovette arrivare Azeglio Vicini, suo mentore nell’Under 21, per farlo diventare titolare: ma poi Vicini lo accantonò per far posto a un altro Roberto, non ponendosi mai il problema di quanto sarebbe stato bello vederli in campo assieme.

Ma il «nostro» Roberto in una successiva intervista con una amico coi baffi disse: «Chi se ne frega, tanto io in Nazionale ci torno da Commissari­o tecnico». E non è il primo c.t. che ha avuto a che fare col Bologna: cito a memoria in ordine molto sparso, Schiavio, Bernardini, Fabbri, Donadoni, Foni, Ferrari, Viani, persino Aldo Bardelli che di profession­e faceva il giornalist­a. A Roberto ora è affidata la rinascita del calcio italiano. In fondo non sarebbe il primo figlio di un falegname a fare dei miracoli.

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