Emilia,via di confine
In «Per strada» Guido Guidi ne raccoglie gli scatti: «La periferia, con una Bologna mai vista al centro»
Un viaggio lungo una vita. Quella di Guido Guidi sulla via Emilia. In una periferia infinita che tocca anche Strada Maggiore a Bologna, un centro che riesce comunque a far apparire nei suoi scatti una via qualunque. Un’«Historia» raccontata nel libro Per strada
(Mack) che contiene più di 300 scatti a colori (20x25) realizzati dal fotografo tra il 1980 e il 1984.
Quando è iniziato il suo viaggio per la via Emilia?
«È iniziato molto prima: sono nato in campagna a San Mauro in Valle nella periferia di Cesena. Mio padre faceva il falegname, mia nonna pure, lavoravano i tini per raccogliere l’uva, o le porte delle porcilaie e delle case dei contadini nostri vicini. Questa è la mia storia, alla fine ognuno racconta questo. Racconta il vissuto, come suggeriva Leon Battista Alberti, teorico della prospettiva, ai pittori: “Infine, dato un quadrangolo di retti angoli disegnati sul vetro, disegni la historia”. Che non è solo quella che si impara sui libri, ma è la storia del vedere. La storia del paesaggio».
Quando ha iniziato a fotografare le strade della SS9?
«Alla fine degli anni ‘60. Cesena è stata una palestra. Lavoravo su queste strade per allenarmi a fotografare meglio e per capire come si può rappresentare quello che Roland Barthes chiama “il trattato di realtà”. Come si può racchiudere in un rettangolo della macchina fotografica tutto il succo della realtà nella sua integrità senza perdere niente. Non è una cosa facile, non è che basta fare clic e hai messo in campo il mondo».
La periferia è al centro del tuo lavoro. Perché?
«Non mi piace la centralità burocratica e politica, la trovo dittatoriale, un ritorno all’ordine. La mia è una scelta politica in relazione alla fotografia. Ruggero Pierantoni ricordava che al centro dei dipinti rinascimentali i pittori, costretti dal Vaticano o dal potente di turno, mettevano la Madonna o Gesù Cristo, al bordo i santi e ancora più ai bordi gli angioletti irrequieti e svolazzanti. Ecco, io sto dalla parte degli angioletti rompiscatole che sono al bordo».
Nel libro ci sono anche due foto scattate ai portici di Strada Maggiore a Bologna. Come mai ha scelto un soggetto così «centrale»?
«L’ho fotografata come se fosse una strada qualunque. Se fotografo una zona centrale della città faccio una foto a cose marginali che potrebbero essere in qualsiasi posto. Allora se arrivo in Piazza davanti a San Petronio è difficile che faccia la foto classica alla facciata della chiesa, l’han già fatto altri molto bene, magari fotografo un paracarro che fino a quel momento non è stato guardato. La mia è un’attenzione a ciò che non è stato visto o ritenuto degno di attenzione. La fotografia è questo: guardare con attenzione il mondo, anche le cose che non sono state guardate».
Proprio sotto le Due Torri ha conosciuto il fotografo Luigi Ghirri, chi era per lei?
«Era un amico, abbiamo fatto un pezzo di strada insieme come il lavoro Due fotografi per il teatro Bonci, realizzato nel 1983 e con le Esplorazioni sulla via Emilia del 1986, di cui alcuni scatti sono presenti nella nuova pubblicazione di Mack. Ci siamo conosciuti alla mostra che ho fatto insieme a Mario Cresci, fotografo ligure, invitato da Italo Zannier, docente di fotografia al DAMS, sostenuto dal direttore Renato Barilli. Era agli inizi degli anni ‘70, la brochure della mostra l’aveva scritta da Vittorio Sgarbi, all’epoca assistente del professore Zannier. All’inaugurazione erano venuti a salutarci da Modena Luigi Ghirri con la moglie Paola e Franco Fontana. Fu allora che lo conobbi».
C’è una foto che vorrebbe fare e non ha ancora fatto sulla via Emilia?
«Ce ne sono centinaia. Una che voglio fare è qui vicino a casa mia dove hanno buttato giù una casa per fare un parcheggio ed è rimasto in piedi un muro malandato. Ci passo tutti i giorni e ogni volta dico «domani vado a fotografarlo» ma poi non lo faccio e mi arrabbio con me stesso perché poi viene il brutto tempo e rischio di non riuscire a fotografarlo».
Particolari
Fotografo ciò che non è stato visto o ritenuto degno di attenzione. La fotografia è anche questo