BOLOGNA APPAGATA E IMMOBILE
Nella classifica della Qualità della vita del 2018, Bologna non si classifica tra le prima 40 città d’Italia. Dopo le prime tre (Bolzano, Trento e Belluno) figurano Parma al sesto posto, Reggio Emilia all’undicesimo, Modena al diciassettesimo e CesenaForlì al ventunesimo. Bologna resta inchiodata come lo scorso anno al 43° posto. La classifica mostra che la città ha fatto del suo relativo sviluppo una cifra di appagamento, si accontenta dell’esistente e si limita a garantirne il funzionamento. Nella stessa regione EmiliaRomagna si contraddistingue per il suo immobilismo, non avanza e non arretra nella costruzione del benessere dei cittadini; è lì, inerte e senza aspirazioni. La città di Bologna storicamente forte nei campi della ricerca di base e applicata, dei saperi, delle arti e delle professioni porta a chiedersi: perché chi governa non è scosso dall’essere nel basso della classifica delle prime cinquanta città italiane? Dove è finito il buon governo, quello che aveva sempre un passo avanti nell’applicazione delle risoluzioni più innovative? È una città che si limita a essere soddisfatta della propria apparente agiatezza, non è in grado di valorizzare le sue tante risorse, prima elencate, in altrettanti beni altamente attrattivi e competitivi. Così l’Università degli studi che si accontenta di essere tra le prime duecento università del mondo, dimenticando di essere la più antica e di essere stata la prima.
Quando si compete nella qualità della vita dei cittadini e nell’eccellenza della ricerca e formazione, non si può essere appagati di un modesto posizionamento. Rinunciare a scalare la classifica per raggiungere un possibile primato vuole dire condannarsi a un lento declino. Viviamo nella rivoluzione del digitale che avanza con una rapidità che esige veloci cambiamenti nell’alta qualità della produzione di beni materiali e immateriali. Nell’indagine svolta da ItaliaOggi, dalla Sapienza di Roma e dalla Cattolica assicurazioni, Bologna brilla al terzo posto solo nel settore «affari e lavoro». E crolla al penultimo posto nel settore della criminalità, in particolare per il numero di rapine riferito a 100mila abitanti, precedendo di poco Rimini. Il primato delle rapine permette ai politici militarizzati di alimentare le paure, creando in modo distorto nei cittadini allarmismi e chiusure. La lodevole iniziativa dell’assessore Matteo Lepore di lasciare ai cittadini l’indicazione dei progetti in ogni quartiere, purtroppo non riesce a far emergere il problema della paura di quella maggioranza che sembra esprimersi solo se è fomentata e aizzata dagli agitatori di turno. Si esce dalla palude soltanto se si è capaci di mobilitare la città e le istituzioni su un disegno capace di anticipare il futuro.