Bilancio partecipativo, cronaca di una sfida civica. I protagonisti al Comune: non aspetti noi per agire
genitori e i bimbi dell’Ic 16, gli anziani che vivono lì e le persone di mezza età che animano l’Arena Orfeonica, così come i migranti e gli attivisti che frequentano Làbas. Abbiamo coinvolto da subito la preside dell’Ic 16 che quest’anno era nuova e chiesto aiuto anche a quella precedente. Abbiamo distribuito volantini. E proposto il miglioramento di un quadrilatero di strade su cui tutti hanno un interesse. La nostra fortuna è stata proprio la biodiversità di quel pezzo del Santo Stefano: tutti i soggetti, anche se diversi, alla fine, hanno trovato un obiettivo comune per il bene di quell’area del quartiere».
Adel (San Donato-San Vitale):
«Nel nostro caso tutte le realtà che si sono unite nel progetto erano anche unite dalle stesse problematiche molto basilari: la mancanza di illuminazione pubblica, la sicurezza, i marciapiedi. Siamo stati tutti mossi, noi tre soggetti promotori, dalla speranza di migliorare quella strada. Via Pallavicini è la periferia della periferia, ma i problemi erano sentiti nello stesso modo sia dai frequentatori del dormitorio che dai frequentatori del Centro islamico. Ci hanno unito le difficoltà comuni e alla fine siamo riusciti a trovare una voce che prima non avevamo».
Veniamo agli aspetti negativi. In cosa il Bilancio partecipativo non ha funzionato? E in quali aspetti, secondo voi, va migliorato nei prossimi anni?
Gianfranco (Borgo-Reno):
«Alcuni progetti erano di nicchia, limitati all’interesse di una realtà: ci vorrebbe un po’ di filtro, perché abbiano tutti invece un interesse più ampio. Quel che bisogna tutelare è la gestione futura dei progetti, per scongiurare il pericolosissimo degrado di ritorno».
Alessandro (Santo Stefano):
«Mi piacerebbe che in futuro si seguisse l’esempio di Barcellona, cioè rendere eleggibili delle azioni sociali che abbiano l’obiettivo di trasformare in meglio il tessuto sociale. Vorrei, insomma, che nel Bilancio partecipativo non si parlasse solo di trasformazione fisica della città. Noi, per esempio, prenderemmo volentieri in carico la cura del verde, così come ci piacerebbe un servizio di portierato sociale o di mediazione culturale di strada. Insomma, non vorremmo che il Bilancio partecipativo diventasse lo strusono mento con cui il Comune, tagliando gli investimenti sulla città, utilizza poi per fare la manutenzione dei parchi, delle strade e garantire la pulizia della città, facendo poi “combattere” tra di loro i cittadini, perché indichino cosa si può fare e cosa no tra le cose comunque necessarie». Mirko (Porto-Saragozza): «Uno dei lati deboli del Bilancio partecipativo secondo noi è che si crea una vera e proprio guerra all’ultimo sangue tra associazioni e cittadini che però, in fin dei conti, nostri vicini di casa. È per questo che il primo atto che faremo come vincitori sarà quello di invitare i secondi e i terzi a intervenire come possibile attore nel nostro progetto. E poi anche per i tempi un po’ stretti non abbiamo coinvolto attivamente le Longhena e Casaglia nel progetto, ma lo faremo. È quattro anni che siamo in quel posto e ospitare i bimbi delle scuole è di primaria importanza per noi. Comunque anche per noi il problema è mettere dentro alle sfide dei progetti di manutenzione. Il Bilancio partecipativo andrebbe fatto per cose nuove, non per progetti su interventi che l’amministrazione dovrebbe comunque garantire ai cittadini».
Ovviamente, visto che ci avete messo tanto tempo e tanta passione, questo Bilancio di aspetti positivi ne ha molti. Intanto il fatto che abbia mobilitato più di 16 mila persone a sostenere i progetti. Poi che abbia permesso di puntare i riflettori su zone della città in molti casi periferiche. Per voi?
Alessandro (Santo Stefano):
«Noi valutiamo in modo assolutamente positivo il fatto che sia stata data la possibilità di votare anche alle persone non residenti in città. Abbiamo fatto votare anche i ragazzi richiedenti asilo. Per noi questa è stata ed è la grande ricchezza del Bilancio partecipativo».
Clara e Roberta (Savena):
«Per noi è stata una lezione di democrazia, la nostra buona volontà ha portato qualcosa. Vedere crescere i voti, uno dopo l’altro, ci ha dato il senso e il valore della partecipazione. Per questo crediamo che il Bilancio partecipativo debba entrare nelle scuole, coinvolgerle di più perché può insegnare tanto. I giovani hanno già sfiducia nelle istituzioni».
Marina e Dario (Navile):
«A noi ha dato la possibilità di ricostruire legami, oltre che a far uscire dall’ombra un luogo dimenticato in cui manca tutto. Il Bilancio partecipativo è servito a farci conoscere, ad aprirci al resto della città. È stata un’esperienza bellissima».