Tra la clinica e la Storia Aldo, quel figlio spezzato all’ombra del «Migliore»
Togliatti jr, vita e malattia nel romanzo dello psichiatra De Plato
Aldo è un «signor Nessuno» che dal settembre 1980, dopo la morte della madre, ha vissuto in un villino liberty nella campagna alle porte di Modena, a Villa del Sole. Un tempo, per la gente del luogo, un manicomio. Prima di trasformarsi in una casa di cura privata di neuropsichiatria.
L’ingegner Aldo, con una diagnosi di «schizofrenia con spunti autistici», vi è rimasto sino alla morte, nel 2011 a causa di un infarto, quando aveva 85 anni. Aldo aveva un cognome, Togliatti, che è sempre rimasto nell’ombra, proprio come lui. Era il figlio del Migliore, un uomo discreto e di poche parole, un intellettuale fine che sognava di andare in America, conosceva francese e russo, amava e odiava al contempo Victor Hugo. Probabilmente perché lo accomunava a suo padre, il «Vegliardo» lo chiamava, per il disastrato rapporto con la figlia, protagonista del film Adele H. di François Truffaut.
Lo psichiatra e scrittore Giovanni De Plato ne Il figlio del Migliore, in uscita oggi per Pendragon, ne ha raccontato la biografia, romanzata, pur partendo da documenti e fonti storiche. Sul filo del dialogo tra il vecchio ricoverato, con un’eleganza di altri tempi, appassionato di scacchi e di «Settimana Enigmistica», e il giovane medico che vuole ascoltarlo di persona per provare a ricomporre un puzzle in cui mancano troppi tasselli. E così Aldo racconta il suo essere un «caso storico» e non un caso clinico, figlio delle due grandi guerre. Lui, figlio naturale del segretario del Pci e di Rita Montagnana, anche lei esponente comunista di spicco, due genitori per i quali Marx, Stalin e Lenin venivano prima di affetti e sentimenti. Aldo era nato nel 1925 mentre il padre era in carcere, prima che tutta la famiglia, perseguitata dalle squadracce fasciste, trovasse rifugio in Russia. Aldo, costretto a una giovinezza in clandestinità, prima che le voci iniziassero farsi sentire. Voci di dentro e non di fuori, «parti spezzate riunite» dal suo io nascosto, contro le quali nessun farmaco può davvero fare qualcosa «se non addormentarle per un po’». Aldo Venturelli, il cognome che aveva scelto, aveva bisogno di un padre che lo aiutasse a non perdersi. Ma Togliatti, dice il figlio nel romanzo, «si è nascosto sotto i tetti di Botteghe Oscure a godersi la vita». Prima di innamorarsi della più giovane Nilde Iotti, quasi coetanea di Aldo, con la quale prese in affidamento una bimba. L’atto che Aldo visse come la sua definitiva cancellazione come figlio, dopo che già la politica gli aveva sottratto la sua vita. Prima della divaricazione tra i genitori, con il pa- dre che sceglie di nascondere il figlio per la vergogna prodotta dalla malattia mentale e la madre che invece decide di stargli accanto da lì in avanti. Nel giorno del funerale di Togliatti a Roma, nel 1964, la moglie e l’unico figlio sono malinconicamente relegati in fondo al corteo, esclusi anche dal ritratto di Guttuso che ritrae l’addio al Migliore.
Poi, dopo la morte della madre, il trasferimento da Torino a Modena, con le visite settimanali del vecchio militante comunista Onelio, con cui Aldo fa lunghe passeggiate e al quale chiede di visitare la villa di Guglielmo Marconi a Pontecchio, vicino Bologna. Per avvicinarsi a quel genio rivoluzionario che, lui sì, «sapeva come costruire un mondo migliore». Perché, conclude De Plato, più che la politica, il partito o la causa a cui si è disposti a consacrarsi, il segreto del vivere è «prendersi cura degli altri», anche se ad Aldo Togliatti quella cura venne sempre negata.
” Fin da bambino dovette fuggire da spietati persecutori, valicare confini, subire continue separazioni, patire lunghi abbandoni, attraversare infinite solitudini. Non riuscì mai a essere come avrebbe voluto