Giallo di Zola, l’amico infermiere si difende: «Mi ha ingannato»
L’ammissione ai carabinieri e l’sms di Masetti per avere i farmaci: «Ingenuità in buona fede»
Ha ammesso di aver dato delle fiale prese dall’ospedale a Francesco Masetti, dice d’averlo fatto in buona fede per fargli un favore senza sapere poi cosa lui ne abbia fatto. Si difende così l’infermiere indagato per concorso nell’omicidio di Antonio Masetti e all’inizio nominato erede dall’amico. Il legale: «Non c’entra, solo una ingenuità».
«Ho dato a Francesco quelle fiale ma con questa storia non c’entro. L’ho fatto in buona fede, mi aveva detto che ne aveva bisogno perché il padre non stava bene e mi sono fidato, del resto ero convinto come tutti che fosse un medico». Una leggerezza, un’ingenuità per usare le parole del suo legale. L’infermiere 57enne amico di Francesco Masetti, finito indagato per tentato omicidio e concorso nell’omicidio del padre di quest’ultimo, si difende attraverso l’avvocato Guido Magnisi da accuse pesantissime.
La Procura ipotizza che sia stato lui a fornire al 38enne poi morto in un incidente stradale, probabilmente un suicidio, i farmaci che secondo l’accusa (ancora senza riscontri) sarebbero stati usati per uccidere Masetti. Un dato confermato dallo stesso infermiere ai carabinieri nel corso di una audizione, come persona informata sui fatti, che dopo quell’ammissione è stata interrotta per consentirgli di nominare un legale. Agli atti dell’inchiesta c’è anche uno scambio di messaggi tra i due che avvalorerebbe questa ricostruzione. Un breve scambio nel quale proprio Masetti chiede (in codice) all’amico di fornirgli quanto chiesto.
L’infermiere e Masetti erano amici da tempo, si sono conosciuti nel 2000 quando entrambi facevano volontariato per una onlus di Castello di Serravalle. Un’amicizia così forte da spingere Francesco a lasciargli il 30% della cospicua eredità del padre (salvo poi cambiare idea), ma che si è incrinata quando è emerso il coinvolgimento del 38enne nell’inchiesta e, soprattutto, quando sono venute a galla le bugie sulla laurea in Medicina. Come altri amici dell’indagato, l’infermiere era convinto che l’amico fosse un medico e dunque, sostiene la difesa, non si è fatto troppe domande quando gli ha chiesto delle medicine da tenere in casa. Farmaci che ha preso dal pronto soccorso dell’ospedale in cui lavora, di qui la contestazione di peculato.
La sua iscrizione nel registro degli indagati è «veramente un atto dovuto, al quale il requirente non poteva sottrarsi», ha commentato Magnisi. Si tratta di un atto a sua garanzia, per permettergli di nominare consulenti in vista della consulenza informatica su telefoni e altri supporti. Gli inquirenti sono certi dei contatti tra i due ma vogliono capire cosa si siano detti a ridosso delle date decisive dell’inchiesta. Il 26 settembre, primo ricovero di Masetti padre, e il 4 novembre, giorno della sua morte.
La difesa è sicura di poter chiarire che si è trattato solo di un favore a un amico, fatto in buona fede e dettato dalla convinzione che Francesco, che si presentava come medico, avesse bisogno di quei farmaci per aiutare il padre: «Abbiamo la certezza che si riuscirà a dimostrare l’assoluta estraneità del mio assistito, se mai si fosse in presenza di un omicidio, cosa d’altronde ancora tutta da verificare». L’avvocato Magnisi chiederà al più presto al pm Antonello Gustapane l’interrogatorio dell’infermiere: «Si dichiara a completa disposizione, è il caso di dirlo, dell’intelligenza psicologica del Pm per chiarire la sua posizione: figlia solo di una scusabilissima, incolpevole ingenuità, che proveremo anche documentalmente». Poi fa ricorso alla letteratura per spiegare il caso: «Sembra riprodurre quello di Jean Claude Romand, storia vera magistralmente ricostruita da Emmanuel Carrere nel suo L’avversario. Romand per 17 anni ha mentito a tutto il mondo, e a se stesso, fingendosi medico, sapientemente ingannando, ancora più degli stessi familiari, proprio gli addetti ai lavori».