Quei cento migranti diventati leggende
Dante, Fermi, Freud, Mercury. L’ideatore: «Il mio è uno spunto di riflessione diverso e positivo contro l’odio»
Cos’hanno in comune Dante Alighieri, Fritz Lang, Mika, Enrico Fermi e Laura Antonelli, il cui vero cognome era Antonaz ed era dovuta scappare dalla natìa Pola durante l’esodo istriano? Sono stati tutti profughi e a rivelarlo è una mostra diffusa in undici biblioteche di Bologna e provincia, da domani al 22 febbraio in occasione del Festival delle biblioteche specializzate. L’esposizione «Profughi, un album», ripercorrerà un centinaio di storie per raccontare la faccia più nascosta delle migrazioni. Quella sempre sottaciuta dei profughi di successo. L’album delle fotografie e delle biografie si aprirà su chi nel corso dei secoli è dovuto migrare per fuggire da guerre e persecuzioni, trovando però salvezza e celebrità. La mostra nasce da un’idea del direttore artistico di Teatri di Vita, Stefano Casi, che nello scorso luglio aveva iniziato a pubblicare sul suo profilo Facebook le storie di profughi del passato. La prima fu quella di «un uomo in fuga dal suo paese, vecchio e malato», che «chiese e ottenne l’asilo come rifugiato a Londra per salvarsi la vita, Sigmund Freud». La seconda riguardava Farrokh Bulsara, un diciottenne di origine parsi ma nato a Zanzibar, rifugiato in Inghilterra per scappare dalla guerra civile nel Paese in cui viveva, che di lì a poco come Freddie Mercury sarebbe diventato leggenda come cantante dei Queen. «Pensavo — racconta Casi — di raccogliere e pubblicare cinque o sei nomi di profughi famosi su Facebook. Voleva essere un piccolo spunto “positivo” di riflessione. Volevo solo mostrare qualche personaggio noto, direi imprescindibile, che in un momento della sua vita è dovuto scappare dal suo Paese. I primi due erano nomi clamorosi. E hanno “sfondato”, oltre ogni mia previsione, anche nelle motivazioni. Migliaia di reazioni positive e di condivisioni e decine di messaggi, quasi tutti centrati sul ringraziamento per aver trovato un modo diverso, positivo, di esprimere un sentire comune a tanti che non ne potevano più non solo dell’odio, ma anche di reazioni all’odio fatte solo di insulti e polemiche».
I cento volti, che a Bologna si potranno vedere, ad esempio, alla Biblioteca Cabral, alla Biblioteca delle Donne e quella dell’assemblea legislativa della Regione, attraversano secoli, nazioni, etnie e professioni. Comprendendo personaggi come Madeleine Albright, Segretario di stato di Clinton costretta a fuggire per ben due volte dalla natìa Cecoslovacchia per sfuggire prima al nazismo e poi al comunismo, e Marie Terese Mukamitsindo, imprenditrice che, dopo essere scampata al genocidio in Rwanda, oggi in Lazio dà lavoro a 150 persone. «In ciascuna scheda — continua Casi — ho ripetuto sempre gli stessi tre hashtag, che rappresentano il senso ultimo e profondo di questa avventura. Il primo è #apriamoiporti, e quindi un invito all’accoglienza di chi su questa terra che è di tutti è costretto a spostarsi per migliorare la propria vita. Il secondo è #apriamolementi perché le cose vanno viste con apertura mentale, senza farci ingabbiare da stereotipi e pregiudizi. Il terzo è #apriamoilfuturo, perché non possiamo continuare a vedere i migranti come un problema, ma come opportunità di crescita».
Oltre alla mostra il festival dedicato a «Terre promesse. Migrazioni e appartenenze», prevede sei tra convegni e seminari, proiezioni cinematografiche al Lumière come Pixote – La legge del più debole del brasiliano Héctor Babenco, lo spettacolo Terre promesse. Letture viandanti all’Arena del Sole, l’altra mostra «Paths of Hope and Despair» del fotografo premio Pulitzer Yannis Behrakis e il concerto «Sulla via della seta: musiche migranti tra oriente ed occidente» al Museo della Musica. Con Pejman Tadayon, maestro di musica persiana e sufi che racconterà in musica le relazioni tra popoli e viaggiat ori lungo la via della seta.