Il magistrato che la scarcerò «Scelta sofferta e impopolare»
Maisto: «Le chiedemmo di ammettere la sua colpa, ma lei non lo fece»
«Sono contento della decisione che prendemmo all’epoca, per quanto fu sofferta e impopolare». A parlare è Francesco Maisto, il presidente del tribunale di Sorveglianza di Bologna che dispose prima il lavoro esterno e poi, nel 2014, la detenzione domiciliare speciale per Annamaria Franzoni.
Maisto oggi è in pensione. Ma si dice «ancora contento per quella decisione». E convinto della sua bontà. «Faccio gli auguri a lei per il futuro e anche alla sua famigliola ricostruita», dice il magistrato. Maisto ricorda che prima di scegliere misure detentive più leggere per la donna — condannata in via definitiva (e tornata libera la scorsa estate)
” Nella sfortuna, ha avuto una serie di condizioni a lei favorevoli
per l’omicidio del figlioletto di tre anni, Samuele — «si dispose un’integrazione della perizia psichiatrica» perché nel corso della lunga vicenda giudiziaria «ce n’erano state altre e tutte discordanti tra loro». Non solo, i giudici diedero alla detenuta «una sorta di aut aut, dicendole di dire la verità. Lei superò questa prova di resistenza — spiega Maisto — e continuò a proclamarsi innocente». Ma la Corte costituzionale ha stabilito che «per ottenere le misure alternative non è necessario confessare i fatti». Dunque, la pronuncia favorevole all’infanticida. Pronuncia impopolare, ricorda il giudice in pensione. Che tiene a sottolineare: «Noi siamo sempre stati convinti che i giudici non devono decidere cercando il consenso, ma applicando e interpretando la legge».
Maisto sottolinea poi un aspetto del lungo percorso della Franzoni che tutti quelli che hanno avuto a che fare con lei in questi anni hanno subito rimarcato. E cioè «la sua fortuna nella sfortuna». Ovvero l’aver potuto contare su tutta una serie di condizioni favorevoli, a partire dalla vicinanza
Il giudice (ora in pensione) dispose per lei il lavoro esterno e poi i domiciliari
della famiglia che non l’ha mai abbandonata. Anzi. «Nel suo caso si verificarono le condizioni che ci augureremmo per tutti i detenuti che chiedono una misura alternativa: ci fu la possibilità di lavorare nella coop sociale, ebbe figure educative valide, e seguì una psicoterapia dentro e fuori dal carcere». «Mi viene da dire anche: alla faccia del mantra della certezza della pena — conclude —. Nel senso che se si fosse realizzato questo, come sostiene qualcuno, ma come io invece non auguro che succeda mai a nessun detenuto, non sarebbe uscita dal carcere, non avrebbe mai ottenuto la liberazione anticipata».