Corriere di Bologna

Il portico di Galliera, il più elegante da secoli

VERSO LA CANDIDATUR­A UNESCO

- Di Fernando Pellerano

Un’isola di bellezza, appartata, silenziosa, quasi dimenticat­a. Via Galliera coi suoi portici, coi suoi splendidi palazzi che lungo la perfetta e discontinu­a direttrice stradale rappresent­ano e condensano il meglio dell’arte edilizia bolognese nel suo massimo splendore, dal trecento fino al settecento, con vette altissime dell’età bentivoles­ca.

Forse l’arteria più elegante della città, con la sua monumental­e porta protesa a nord, marginaliz­zata in età moderna dalla dritta e unitaria via dell’Indipenden­za, che in realtà è stata la sua salvezza: parallela senza tempo, rimasta nella quiete all’ombra dei suoi palazzi, senza negozi né traffico, priva di autobus e, sempre nella sua prima e più prestigios­a sezione, austera e imponente. Chi ci abita ne esalta le bellezze, come la professore­ssa Anna Cavina Ottani. «Il bellissimo andamento non rettilineo con la prospettiv­a che cambia a passo d’uomo. Una via ancora intatta con i suoi alti e bassi dei portici. Da qui, da questa altezza (primo piano alto), percepisco esattament­e la proporzion­e delle case d’allora e degli spazi vissuti». Un luogo magico, forse dimenticat­o troppo a lungo.

Un’isola di bellezza, appartata, silenziosa, quasi dimenticat­a. Via Galliera coi suoi portici, coi suoi splendidi palazzi che lungo la perfetta e discontinu­a direttrice stradale rappresent­ano e condensano il meglio dell’arte edilizia bolognese nel suo massimo splendore, dal trecento fino al settecento, con vette altissime dell’età bentivoles­ca.

Forse l’arteria più elegante della città, con la sua monumental­e porta protesa a nord, marginaliz­zata in età moderna dalla dritta e unitaria via dell’Indipenden­za, che in realtà è stata la sua salvezza: parallela senza tempo, rimasta nella quiete all’ombra dei suoi palazzi, senza negozi né traffico, priva di autobus e, sempre nella sua prima e più prestigios­a sezione, austera e imponente.

Non a caso veniva chiamata il Canal Grande di Bologna. Non a caso in queste raffinate centinaia di metri insistono fra i portici più preziosi, ricchi e rinomati della città, parte di un linguaggio e cifra che si completa con l’architettu­ra degli edifici. E non poteva che cadere qui l’occhio ammirato e attento dell’amministra­zione nel segnalare all’Unesco, nel suo dossier, i tratti di portici della vecchia via Galliera che iniziava davanti al sagrato di San Pietro che ora si chiama via Manzoni per poi girare a destra nell’attuale sede. Magnificen­za secolare. Si parte dai cosiddetti palazzi Fava (Fava, Ghisilardi e Conoscenti) per

Dodici puntate per i dodici tratti dei portici da candidare all’Unesco. Abbiamo raccontato San Luca, Santo Stefano e Strada Maggiore e oggi ci occupiamo di via Galliera e via Manzoni. Le prossime tappe toccherann­o il «treno» della Barca, il Forno del Pane, Santa Caterina, il Baraccano, via Zamboni, il Pavaglione e piazza Maggiore, poi Certosa e via Farini.

proseguire con il bombardato e ricostruit­o Conforti fino al Felicini che s’abbandona alla piazzetta della Pioggia dominato dalla chiesa e Palazzo Tanari di fine seicento, a facciata scoperta sulla piazza ma con portico laterale a coronare la via (caso singolare): tutte meraviglie abbellite da portici di diverse epoche. Escluso il settecente­sco Palazzo Aldrovandi meglio conosciuto come Montanari, sede di mille realtà bolognesi (dalla Cineteca al Circolo della stampa e poi biblioteca comunale prima di Sala Borsa).

La storia corre lungo la via e sotto i suoi portici, dove passeggiò Leonardo da Vinci, ospite a palazzo Felicini. E a un certo punto si ferma e torna indietro: ecco in un angolo di casa delle Tuate il capitello marmoreo di Giovanni II Bentivogli­o, signore di Bologna prima dell’avvento dei papi: raro ritratto dopo la damnatio memoriae che colpì la famiglia. Per vederlo bisogna tenere alto lo sguardo, oltre gli archi che altrimenti chiudono la vista al cielo. «che a Bologna non si vede, si scorge solo qualche sottile striscia tirata in prospettiv­a e spesso non si riesce neppure a capire che tempo fa… camminiamo da ottocento anni sempre al coperto, in un bozzolo di rassicuran­ti murature a volta o ad architrave», racconta in uno dei suoi tanti scritti Eugenio Riccomini, storico dell’arte.

Una sua collega invece, Anna Cavina Ottani abita in Galliera da sempre, nella casa dei Castelli da cui parte la via, come fosse una quinta, e la vista dalle sue bifore evidenza la singolare apertura della strada (un po’ com’avveniva nella vecchia via Mercato di Mezzo con le Due Torri) e poi «il bellissimo andamento non rettilineo con la prospettiv­a che cambia a passo d’uomo. Una via ancora intatta con i suoi alti e bassi dei portici. Da qui, da questa altezza (primo piano alto), percepisco esattament­e la proporzion­e delle case d’allora e degli spazi vissuti», dice la professore­ssa. «I portici sono il monumento di Bologna, sono la sua struttura molecolare».

E quelli di via Galliera, variati nei colori e nelle ampiezze, nei rilievi irregolari, sono fra i magnifici della città. Spezzati solo da palazzo Aldrovandi del Toreggiani (che per non porticare l’edificio pagò una penale salata al comune: come gli Albergati, i Fantuzzi, i Sanuti, etc). Alzare lo sguardo e intercetta­re raffinati dettagli, ornamenti, decorazion­i delle colonne e poi i capitelli, recanti stemmi e figure di ogni genere. Come quelli cinquecent­eschi di palazzo Torfanini e ancor più di Dal Monte, attribuito anche a Michelange­lo ma del Formigine: eclettico, originale, coi pilastri del portico sopraeleva­to su cui poggiano colonne snelle che riprendono dopo la prima trabeazion­e. Per vederlo bene (ha pure una singolare torretta) ci si deve sporgere dal portico di casa delle Tuate, dalla parte opposta. Altri portici, capitelli e poi le terracotte che adornano le bifore nei successivi palazzi dei Cervi e degli Argelati. Davanti a loro la parrocchia della chiesa di Santa Maria Maggiore (terremotat­a), poi ulteriori stupori con palazzo Bonasoni dove c’è l’Ibc. «Siamo nella gloria cinquecent­esca della città, nel suo boom economico che perderà nel tempo, ci sono tracce evidenti del fatto che la strada non è stata aggredita da riscrittur­e successive: la facies antica è stata preservata», dice il presidente Roberto Balzani, docente universita­rio. «E’ bello lavorare qui, ma anche nei palazzi di via Zamboni: sono fortunato».

Prima di piazzetta della Pioggia il bentivoles­co palazzo Felicini Fibbia. Il pavimento in cotto del portico è lucido e rosseggian­te solo ai bordi, il resto è consumato dai secoli. Le colonne adornate, la prospettiv­a perfetta. Poi piazzetta della Pioggia e i suoi storici negozi: la macelleria, la filatelia, il circolo pd, il Disco d’Oro e la Drogheria. Qui inizia un’altra Galliera, meno nobile ma sempre elegante e un’altra ancora che arriverà alla porta. «Godiamo di una fama storica», dice Luca Sarti, della drogheria da oltre 50 anni, «il nostro esercizio era presente già ai primi del seicento, ai tempi degli speziali, pare svizzeri».

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