Corriere di Bologna

L’addio ai fratellini, l’atto di accusa del pastore

I funerali dei fratellini precipitat­i dal balcone alla Barca. Tra lacrime e canti

- Maria Centuori © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Le due bare bianche, una accanto all’altra. Anche per l’ultimo saluto David e Benjamin erano vicini. Lo sono stati fino all’ultimo momento quella maledetta mattina del 23 marzo, quando la loro vita è volata giù per sempre dall’ottavo piano di uno dei palazzoni di via Quirino di Marzio. Prima il più piccolo, Benjamin di 10 anni, subito dopo David, che il giorno precedente aveva compiuto 14 anni. I due fratellini di origini keniote in quel momento erano a casa, assieme al papà Natan che però era in bagno e non si è accorto di quello che stava succedendo. Perché cosa sia successo quel sabato mattina di inizio primavera ancora non è certo, se non che si è trattato di una tragedia.

Da quella mattina la comunità keniota e quella della Barca si è stretta attorno alla famiglia dei due piccoli. Al papà Natan, ad oggi ancora indagato ma solo come «atto dovuto» per mettere insieme i tasselli di quella mattina, e alla mamma Lilian conosciuta in città per la sua attività in via Calori. Anche quella mattina Lilian era con gli altri due bimbi più piccoli nel suo salone da parrucchie­ra. Ieri sono stati proprio loro, i due genitori, a chiedere che il giorno dell’ultimo saluto e dei funerali dei loro due piccoli fosse un giorno di festa. Si sono vestiti di bianco, come la loro tradizione vuole durante il rito funebre. Lo era il papà, lo zio, e lo era lei, la mamma, con un elegante velo bianco: non ha lasciato per un secondo con lo sguardo quelle due bare bianche e le ha abbracciat­e come ha potuto, tra le lacrime, durante il corteo. Dietro di lei due classi di alunni, quella dei compagni di David e quella dei compagni di scuola di Benjamin. Ognuno di loro aveva in mano una rosa bianca. Ognuno di loro aveva il volto rigato dalle lacrime per quel compagno di scuola che non c’è più.

«L’estate andavamo al mare tutti insieme, e loro due — racconta il papà Natan — mi chiedevano com’era diventare grandi. Parlavamo della vita,

Il pastore evangelico La morte non ci rende uguali, perché David e Benjamin, anche di fronte alla morte, non sono ancora cittadini italiani

Il papà Mi chiedevano com’era diventare grandi, volevano fare gli ingegneri: parlavamo della vita, capivo che stavano crescendo bene

soprattutt­o mentre eravamo in viaggio. E lì mi rendevo conto che stavano crescendo bene. Volevano diventare ingegneri da grandi, David si occupava sempre di Benjamin, e Benjamin dei fratelli più piccoli. Erano due figli splendidi. E per me erano anche due fratelli. In loro vedevo quello che non avevo mai avuto: un fratello». È una lettera piena di quotidiani­tà quella che il papà Natan ha fatto leggere durante i funerali celebrati nella chiesa evangelica metodista di Bologna. Una quotidiani­tà, quella dei due fratellini «sempre insieme a condivider­e tutto, ricorda una cugina, fatta di grandi responsabi­lità: «Si svegliavan­o, ci salutavano con il sorriso — continua il papà — e dopo aver fatto colazione andavano a far la doccia. David andava a scuola da solo, Benjamin lo accompagna­vamo noi, poi una volta a casa loro si occupavano dei fratellini più piccoli. David si divertiva a giocare ai videogame e al computer. Poi insieme giocavano con le macchinine».

Anche quel sabato mattina da piccoli ometti erano andati a fare la spesa, si sono trascinati le buste tra le risate e le rincorse. Ieri mattina in via Venezian c’erano tutti come il 23 marzo: c’erano i vicini di casa, i genitori dei compagni di scuola, i bambini, le maestre, c’era il parroco della chiesa della Barca, c’era la comunità keniota, c’era quella bolognese. Uno scenario, tra le lacrime, le preghiere e i canti, che raccontava di una famiglia ben inserita, di una famiglia cresciuta sotto le Due Torri. Sono nati qui David e Benjamin, come ha ricordato il pastore Michel Chrbonnier che nel suo discorso ha parlato del tema complicato della cittadinan­za, del riconoscim­ento per due bimbi che erano e si sentivano italiani: «Dicono che davanti alla morte siamo tutti uguali. Ma non è così: David e Benjamin nonostante vivessero qui e fossero cresciuti qui non erano cittadini italiani». E poi, sempre il pastore che in queste settimane si è fatto portavoce della famiglia e della raccolta fondi per riportare le salme in Kenya, ha invitato tutti al silenzio: «Il silenzio deve essere paradossal­mente la parola più forte, perché non possiamo fare altro davanti a due genitori che hanno perso in questo modo, così tragico, due figli. Non ci sono parole».

Per volere della famiglia, i fratellini saranno sepolti nel paese natale dei genitori, in Kenya.

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 ?? Insieme ?? Da sinistra David, 14 anni, il maggiore dei fratellini, e a destra Benjamin, appena dieci anni, erano inseparabi­li e tutti li ricordano così nel quartiere e nella comunità keniota di Bologna
Insieme Da sinistra David, 14 anni, il maggiore dei fratellini, e a destra Benjamin, appena dieci anni, erano inseparabi­li e tutti li ricordano così nel quartiere e nella comunità keniota di Bologna
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