MURRI OTTIENE LA GRAZIA
L’Arcivescovo: «È la forza della speranza che ci fa accorgere di tante sofferenze»
Sino alle 12 la Pasqua è piovosa, ma subito dopo sbuca un bel sole che favorisce le gite fuori porta. I tram vengono presi d’assalto per raggiungere le tradizionali mete di S. Luca e Casalecchio.
È la Pasqua della vita perduta o sospesa. Quella raccontata da Romano Magrini e da sua figlia Cristina o dai pensieri dei carcerati della Dozza. Filtrare il messaggio pasquale attraverso la vera sofferenza umana, che sia di uomini e donne privati della libertà o di padri e madri dei loro figli, è l’obiettivo dell’arcivescovo Matteo Zuppi per far comprendere ai fedeli il senso rinnovato di questa festività cristiana. Perché «c’è tanto buio che avvolge il cuore degli uomini e tante parti della terra», scandisce durante la veglia pasquale in Cattedrale.
Eppure «è facile abituarsi al buio» e «scappare dal male, evitando le sofferenze», ma «un mondo così resta buio e diventa più difficile per tutti», perché «non c’è felicità vera nascondendo o evitando la croce, fosse in maniera elegante o furba». Ecco le ragioni che rendono per Zuppi centrale l’insegnamento del signor Magrini, che non va disperso. «Ha accompagnato con amore di padre sua figlia Cristina per trentotto anni, da quando ne aveva quindici ridotta in stato vegetativo. “Quando non si vive insieme si diventa estranei”, diceva. Non avviene così nel nostro ordinario individualismo?», si chiede l’arcivescovo.
Sempre Magrini diceva che «ogni relazione ha bisogno di uno scambio e Cristina suscitava il massimo dando il minimo». «Noi siamo figli e figlie di un Dio — riprende allora Zuppi — che ha accettato questo scambio, che non ha donato il massimo perché la nostra vita non si perda, come un Padre vero che si pensa per i figli e non viceversa».
L’arcivescovo ripete quello che è «il senso della Pasqua» anche quando in mattinata arriva alla Basilica di Santo Stefano, attorno a mezzogiorno, per la recita dell’Ora media con i cavalieri del Santo sepolcro. «È la forza della speranza — prosegue l’arcivescovo — che ci fa accorgere di tante sofferenze», è ciò che i fedeli hanno potuto ascoltare venerdì sera in occasione «della bellissima via Crucis dei carcerati della Dozza che hanno saputo descrivere la sofferenza di tutti e anche la loro».
Si tratta di un inedito assoluto affidare le meditazioni per la via Crucis ai detenuti, ed è stato proprio Zuppi a insistere. «La durezza del carcere e della vita ci spinge a indossare maschere. Ma se sappiamo ascoltare il grido di invocazione che viene dal fratello, allora si verificano prodigi di umanità», dicono i detenuti. E poi: «Tutti abbiamo bisogno di essere consolati perché tutti soffriamo. Per le nostre colpe, per le colpe altrui, o semplicemente perché questa è la vita».
La resurrezione, sottolinea Zuppi in Cattedrale, «è affidata a noi» perché «non siamo spettatori ma dobbiamo essere uomini di fiducia, che credono alla luce anche quando c’è il buio». Ma la Pasqua, conclude Zuppi, è anche una domanda in cerca di risposta: «Cosa posso fare io perché il buio sia vinto da questa luce di amore, dalla forza della resurrezione?».
È buio quando i sentimenti umani vengono liquidati come fossero ingenuità o visione di una sola parte e non l’unica opzione possibile per tutti