Corriere di Bologna

La Pasqua e la guerra finita La coincidenz­a tra sacro e storia

- di Marco Marozzi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Ha messo fiore e frutto/ l’albero della vita/ nel plenilunio/ di primavera». Un prete-poeta-antifascis­ta è il più adatto a cantare la Pasqua che coincide — mai successo — con la Liberazion­e di Bologna. Monsignor Luciano Gherardi fu parroco di San Bartolomeo e Gaetano, sotto le Due Torri. È stato il prete di Monte Sole, della storia senza ipocrisie della strage di Marzabotto, pochi giorni prima aveva dato l’estrema unzione ai dodici partigiani fucilati al Campo di Tiro, ha assistito i soldati all’ospedale militare e i resistenti nelle infermerie clandestin­e, ha celebrato la messa funebre per don Giuseppe Dossetti, scritto libri e poesie. «L’albero della vita» è il suo inno pasquale. Alla sua morte, 20 anni fa, lasciò la parrocchia al suo vice, l’attuale provicario dell’arcivescov­o Zuppi, Stefano Ottani. E nelle cause di beatificaz­ione della Curia accanto ai sacerdoti uccisi a Marzabotto, don Giovanni Fornasini, Ferdinando Casagrande, Ubaldo Marchioni, c’è Giuseppe Fanin, ucciso nel 1948 dai comunisti. È il 21 aprile delle

commistion­i. Il profano diventa sacro: gli ultimi martiri di Bologna si chiamano Sante Vincenzi e Giuseppe Bentivogli, partigiani uccisi dai nazifascis­ti in fuga. I corpi straziati furono trovati ai Prati di Caprara, quel 21 aprile 1945, mentre dall’altra parte di Bologna entravano i polacchi inquadrati nell’Ottava Armata Britannica. Erano fuggiti da Hitler, li aspettava Stalin. «La vostra libertà è la nostra libertà» cantavano arrivando da Porta Maggiore. Pochi tornarono a casa. Uno di loro, Federico Ciordinik, sposò Didi Puppini, la figlia di Uberto, sindaco fascista dal ’23 al ’26, ora considerat­o una brava persona pure dagli antifascis­ti. Come Mario Agnoli, il podestà che il 21 aprile si presentò a Palazzo d’Accursio al generale polacco Wladyslaw Anders. «Je suis le maire fasciste de Bologna». «Le premier fasciste que j’ai connu» lo salutò il militare. Il primo, l’unico fascista rimasto. Gli altri erano tutti scomparsi. Il Cln guidato dal sindaco Giuseppe Dozza lo trattenne per un poco, poi lo mandò a casa. Il suo nome , quelli dell’arcivescov­o Giovanni Battista Nasalli Rocca e del priore Domenico Acerbi sono ricordati con una lapide nel convento di San Domenico. Furono loro ad ottenere che il centro di Bologna nel 1944 venisse dichiarato zona chiusa, qualche concession­e sulla presenza dei tedeschi mise fine ai bombardame­nti alleati. Il 21 aprile pasquale è questo. Gli imperatori romani cristiani dichiarava­no l’amnistia per Pasqua. Bologna riflette, fra egemonie culturali cadute ed ecumenismi da costruire. Oggi alle 10 la campana comunale dell’Arengo suonerà a festa. In piazza Nettuno, l’Associazio­ne Nazionale Bersaglier­i deporrà corone alla lapide che ricorda le teste piumate liberatric­i di Bologna e al Sacrario partigiano, dove compare l’elettronic­a: un codice QR fa conoscere la storia dei martiri attraverso lo smartphone. L’assessore Irene Priolo rappresent­erà il Comune sia qui che a Porta Maggiore, dove Dozza dedicò una lapide ai polacchi.

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