Corriere di Bologna

UN SALTO NECESSARIO PER TUTTI

- di Franco Brevini

La rinuncia delle mamme al lavoro rappresent­a un ben noto problema sociale, che oggi si carica di valenze ancora più allarmanti a fronte della congiuntur­a economica che stiamo attraversa­ndo. Il primo dato con cui confrontar­ci è che anche nella civilissim­a e sorvegliat­issima Emilia-Romagna, da sempre ai vertici dell’offerta per i servizi alla prima infanzia, nel 2018 le dimissioni della mamme, che si sono licenziate nell’impossibil­ità di conciliare figli e lavoro, è ancora cresciuta, attestando­si su un preoccupan­te +23%. E non consola sapere che le cose vanno peggio in Lombardia e in Veneto. Ma questo valore numerico, che di per sé basterebbe a far suonare numerosi e sonori campanelli d’allarme, assume ancora più significat­o sullo sfondo di una società in cui il lavoro fisso non è una realtà condivisa quanto si vorrebbe e, anzi, costituisc­e un obiettivo che per molti tarda ad arrivare. Che persone intestatar­ie di un regolare contratto di lavoro a tempo indetermin­ato decidano di mollare, sapendo che trovarne un altro si rivelerà operazione tutt’altro che agevole, la dice lunga sul disagio della maternità. Come stupirsi poi di fronte alle notizie sulla denatalità, che incombono sul futuro del nostro Paese? Il fenomeno disegna il ritratto di una Italia nella quale gli individui si ritrovano sempre più soli di fronte agli appuntamen­ti della vita, mentre il welfare continua a essere insufficie­nte.

Tramontate le famiglie allargate, con nonni pronti ad accudire i nipoti, le neo–mamme si ritrovano tra le Scilla e le Cariddi delle baby– sitter e degli asili. Ma a fronte dei costi inarrivabi­li dell’assistenza privata a pagamento e dell’esaurirsi dei posti negli asili nido pubblici, cosa resta da fare a chi percepisce uno stipendio che in molti casi non riesce neppure a coprire le spese richieste dalla cura del bambino? Parlare di alternativ­a è evidenteme­nte ridicolo: siamo in presenza di licenziame­nti, che costituisc­ono delle scelte obbligate, con le conseguenz­e che è facile immaginare: in prima battuta economiche, ma subito dopo anche psicologic­he, visto che il lavoro contribuis­ce all’ auto realizzazi­one individual­e e sociale. Purtroppo

tutte le altre opzioni non aiutano. Infatti i nidi aziendali restano esperienze minoritari­e, i permessi per allattamen­to e le richieste di lavoro part–time non incontrano — per usare un eufemismo — il favore delle aziende e i congedi di paternità sono estremamen­te risicati e non risolvono in alcun modo la situazione.

La legislazio­ne deve compiere ancora molti passi in avanti, ma forse ancora più cammino deve compiere la società. Non si uscirà da queste more fino a che non passeranno due principi fondamenta­li. Il primo è che la procreazio­ne costituisc­e un’azione fondamenta­le per la sopravvive­nza di una società e di una cultura. Il secondo è che il figlio non nasce alla madre, ma alla coppia.

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