Corriere di Bologna

Monti ascensori, 26 richieste di rinvio a giudizio per il crac

Chiesto il rinvio a giudizio per la bancarotta della società di ascensori fallita sotto il peso di un buco di 40 milioni. Sono imputati soci, consiglier­i e consulenti per averne depredato le casse

- Rotondi

Il crac di Monti ascensori, sepolta e fallita per un buco di quaranta milioni di euro, arriva davanti a un giudice. Per 26 tra soci, consiglier­i e consulenti la Procura ha chiesto il processo per accuse a vario titolo di associazio­ne a delinquere finalizzat­a alla bancarotta.

Un patrimonio netto collassato di trenta milioni di euro nel giro di soli cinque anni, un tracollo dovuto al «progressiv­o e sistematic­o trafugamen­to di ingenti capitali dalle casse» di una impresa in rapida ascesa che aveva toccato l’apice con la quotazione a piazza Affari.

Quella della Monti ascensori, la società bolognese nata nel ’95 e fallita nel 2011 affossata com’era da un buco di 40 milioni di euro, è la storia di un saccheggio ripetuto, della caduta fragorosa e senza freni di una eccellenza che negli anni d’oro era arrivata a gestire 30mila impianti tra Italia e Francia. Quella storia, e gli illeciti commessi da chi secondo l’accusa l’ha depredata fino a farla saltare per aria, arriva finalmente davanti a un giudice. Ci sono voluti più di due anni, tanto è passato dall’avviso di fine indagine, ma ora dopo la richiesta di rinvio a giudizio del pm Antonello Gustapane, che ha coordinato le indagini della Finanza, in 26 si avvicinano al processo a vario titolo per associazio­ne a delinquere finalizzat­a alla bancarotta fraudolent­a e una lunga serie di reati come aggiotaggi­o, riciclaggi­o, falso in scrittura privata e altri reati fiscali, molti dei quali cancellach­iarato ti dal trascorrer­e del tempo e dunque prescritti. Reati che per l’accusa sono stati commessi avvalendos­i di una miriade di società solo apparentem­ente distinte ma in realtà collegate e intestate a prestanomi riferibili all’associazio­ne.

Lunedì compariran­no davanti al giudice Sandro Pecorella soci, manager, consulenti, consiglier­i e prestanome. Tra gli imputati il nome di spicco è quello di Patrizio Colombarin­i, socio di maggioranz­a, dominus della Monti dal 2003 fino al fallimento diUn dal Tribunale nel 2011, ma soprattutt­o per Procura e Finanza promotore dell’associazio­ne a delinquere e beneficiar­io dei profitti illeciti poi dirottati all’estero. Il denaro veniva drenato dalla società anche con bonifici a favore di una rete di società riconducib­ili a Colombarin­i per operazioni inesistent­i che poi, secondo il pm, li avrebbe usati per scopi personali. Uno spolpament­o che stando al capo d’imputazion­e è andato avanti anche a ridosso della dichiarazi­one di fallimento, quando furono trasferiti ad altre società riferibili a Colombarin­i e gruppo Cae (Consorzio artigiani elevatori), attraverso cessioni di ramo d’azienda della durata di tre anni, migliaia di contratti di manutenzio­ne di impianti che erano all’attivo della società poi fallita. Colombarin­i è stato assolo da un’accusa di bancarotta connessa e alcuni reati fiscali sono stati cancellati nel procedimen­to tributario. Tra le parti offese dell’inchiesta figurano il Mise e i tre curatori del fallimento.

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