Da Mascarella a New York Il lungo viaggio in musica di Frabetti
Il titolo, «Interno 41», fa riferimento all’appartamento in via Mascarella dove è maturato il primo progetto da solista del trombettista bolognese Diego Frabetti. «Un luogo reale — racconta il musicista, classe 1976 — una casa dove mi sono trasferito, dove ho iniziato una convivenza e un nuovo importante capitolo della mia vita, ma che è anche un luogo metaforico, la mia casa, il mio spazio». Un disco con radici lontane, visto che era già stato composto anni fa, prima dell’esperienza di Frabetti negli States, anche se non era mai stato suonato né tantomeno registrato. Pensato come una lunga suite unitaria e in seguito divisa in otto parti. «I brani del disco — continua il musicista — sono stati interamente scritti al pianoforte, spesso utilizzando solo la melodia e la linea di basso. Durante il processo compositivo volevo svincolarmi il più possibile dal mio strumento, la tromba, e al contempo cercare delle musiche che potessero funzionare anche nella loro forma più essenziale». Insomma, Frabetti cercava qualcosa di diverso dagli abituali standard
jazz e quindi gli otto brani, da «Ciclico» e «Stessi Occhi» a «Piogge» e «Roll Blues», risultano separati anche se c’è qualcosa che li lega a livello armonico: «Tutti raccontano attraverso diverse sfumature le esperienze vissute e le persone che in questi anni ho incontrato e che hanno avuto un significato per me», aggiunge il musicista. Alla base c’è infatti l’idea di un concept album, forse perché Frabetti prima di arrivare al jazz è passato per una solida formazione classica, suonando anche con orchestre sinfoniche e frequentando composizioni tipiche della tradizione classica come le sinfonie e le suite. Ad affiancare Frabetti ci sono il sax tenore di Barend Middelhof, la chitarra di Davide Brillante, il contrabbasso di Stefano Senni e la batteria di Nicola Angelucci. Ai quali si è aggiunto il contributo del pianista Danny Grissett, californiano di origine ma da anni esponente della scena musicale newyorchese. Il disco in autunno verrà presentato dal vivo in alcuni concerti, con tappe anche a Roma e Bologna, ma è già disponibile in tutte le piattaforme. A livello generazionale Frabetti ha avuto la fortuna di vivere anche la vecchia Bologna del jazz: «Sono un po’ salito — ammette — sull’ultimo vagone, quello di Alberti e Berti Ceroni, gente che ha portato in città Miles Davis e Duke Ellington. Negli ultimi anni qualche club ha chiuso come il Chet Baler, qualche musicista purtroppo ci ha lasciati come il mio grande amico Marco Tamburini di cui suono la tromba, che mi ha regalato sua moglie. Ma ci sono tanti giovani, anche se con interessi diversi. Io sono venuto su a bebop anche se non sono cresciuto ad Harlem». Per Frabetti, che tiene anche corsi di tromba jazz al Conservatorio Martini, resta però fondamentale la possibilità di interagire con musicisti di alto livello: «Anni fa mi ero infilato in due lezioni con il grande trombettista jazz Roy Hargrove, oggi per un ragazzo di vent’anni sarebbe più complicato. Proprio lui disse una cosa per me illuminante, che credeva nella tradizione ma che poi ognuno vive nel suo tempo».