Pavani e la Effe alla Porelli «C’è gente che mi implora per avere l’abbonamento»
Il presidente: «Dispiace dire di no, la Fortitudo è della sua gente»
Christian Pavani, il quarto consecutivo tutto esaurito in abbonamento della sua Fortitudo, soli sette anni dopo la rinascita, che effetto le fa?
«È un successo straordinario, di cui sono orgoglioso come e più dei risultati sportivi. Significa una cosa che sapevamo già, ma che va ribadita con orgoglio: la Fortitudo è della sua gente».
Avete chiuso a quota 4.785 tessere, ma se ci fosse stato posto, quante altre ne avreste vendute?
«In base ai miei calcoli, circa 1500. Saremmo arrivati a 6200-6300. Continuiamo a ricevere richieste, incontro persone che implorano di potersi abbonare, e purtroppo devo rispondere che non si può. E mi fa male: fosse per me farei venire tutti».
Per chi non è abbonato sta diventando difficilissimo venire alle partite: si sta creando l’effetto «porelliano», quello del circolo chiuso.
«È proprio quel che la Fortitudo deve cercare di non essere mai. Potevamo facilmente battere il nostro record, vendere altre 4-500 tessere, ma abbiamo scelto di non farlo. Di certo non mi piace dire di no a tanti nostri tifosi, ma non mi sembrava corretto non aprire nemmeno la biglietteria. C’è anche chi non può venire a tutte le partite, perché vive fuori Bologna o per motivi suoi, in questo modo si mantiene un minimo di ricambio, si accontentano più persone».
I numeri dicono che nemmeno nell’epoca d’ora di Seragnoli, c’era una fedeltà del genere.
«Chiaro che il ritorno in Serie A dopo dieci anni ha avuto un peso, chiaro che c’è anche il tifoso esigente, che guarda al risultato, alla categoria, al giocatore che gli piace di più o di meno. Ma in questi anni credo si sia capito che la Fortitudo è qualcosa di più: appartenenza, partecipazione».
Giovedì sera alla Festa dell’Unità (doveva esserci un dibattito aperto al pubblico tra i due club bolognesi e l’amministrazione ma all’ultimo la Virtus ha dato forfait, ndr), ha lasciato capire che bolle in pentola un’iniziativa a sorpresa.
«Diciamo che ho un’idea, che mi piacerebbe condividere con i tifosi. Vorrei parlare con loro di tante cose, iniziare un percorso».
Sarà la famosa democrazia dal basso, per la prima volta anche nel basket?
«Datemi ancora qualche giorno per metterla a punto, ma qualcosa nascerà. Vorrei fosse un processo moderno, innovativo. La Fortitudo è anche questa: apertura alle idee di tutti, ascolto della sua base. Io sto in mezzo ai tifosi dalla mattina alla sera. Ho voluto Casa Fortitudo, a Castel Maggiore, anche per questo: un posto per viverla da dentro. Io ci pranzo tutti i giorni, se qualcuno vuole parlarmi deve solo venire lì e lo ascolto. Di persona, però, non sulla rete».
Bisogna metterci la faccia?
«La gente mi ferma per strada, io non ci sono abituato e credo non mi abituerò mai. Mi chiedono biglietti, abbonamenti, figurarsi se non mi piacerebbe accontentare tutti, e mi sembra un’assurdità dover dire dei no. La forza, la popolarità del nome Fortitudo in questo momento è formidabile, e non solo a Bologna. E’ un onore, ma anche una responsabilità enorme».
Questa squadra deve mirare a qualcosa più della salvezza?
«Lo sento dire spesso, sta crescendo questa convinzione e non mi piace. Lo dico e lo ripeto, dobbiamo solo salvarci. Poi io sono contento della squadra, ma l’obiettivo è lo stesso del giorno in cui siamo saliti».
Il vostro derby, dove?
«Già detto molte volte: il tifoso che è in me dice PalaDozza. Poi ci sono i conti da far quadrare. Ma non si gioca tra sei mesi?».