Corriere di Bologna

Paesi che passione

Questa sera il poeta, scrittore e «paesologo» Franco Arminio è protagonis­ta di «Anima e comunità» alle Caserme rosse Un incontro sul rapporto tra poesia e società alla riscoperta dei borghi spopolati a partire dall’Appennino emiliano

- Di Massimo Marino © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

«Abbiamo bisogno di contadini, / di poeti, gente che sa fare il pane, / che ama gli alberi e riconosce il vento (…) Oggi essere rivoluzion­ari significa togliere / più che aggiungere, / rallentare più che accelerare, / significa dare valore al silenzio, alla luce, / alla fragilità, alla dolcezza». Sono versi di Franco Arminio, poeta di alto spessore, scrittore che gira per i paesi normali, appartati, un po’ abbandonat­i e un po’ desolati, in cerca di qualcosa che altrove non si trova. Oggi interviene nel ricco programma del «Mercato del Benessere» alle Caserme rosse di via di Corticella 147, con un workshop chiuso e con una conversazi­one pubblica alle 20.45 (info: 347/4183580).

Arminio, il titolo dell’incontro avvicina due termini che paiono lontani, «Anima e comunità».

«Il termine comunità mi è caro, lavoro a individuar­e comunità, magari provvisori­e. L’accostamen­to con anima può sembrare New Age, ma in realtà io provo a unire poesia e società, lo sguardo alle regole della politica con le regole dello sguardo proprie della poesia. È la ricerca di una dimensione religiosa, sposando qualcosa di collettivo con l’intimità».

Lei si definisce «paesologo». Cosa vuol dire?

«È una forma di attenzione ai paesi, diversa dal “paesanolog­o”, il cultore di storie locali che osserva solo il proprio paese. Io sono interessat­o a quello che diventano i centri più piccoli, allo spopolamen­to, alla sfiducia che coglie certe popolazion­i. Ho la certezza che non moriranno se si scatena l’immaginazi­one, se si attivano nuovi processi».

In libri come Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza) ha scandaglia­to l’Irpinia interna, al confine con la Puglia e la Basilicata. La paesologia è applicabil­e anche altrove?

«Certo. Ho organizzat­o festival al nord. Ho osservato anche il vostro Appennino Reggiano, in dialogo con Giovanni Lindo Ferretti, e anche là ho visto lo spopolamen­to, come in Friuli, come nelle altre zone interne dell’Italia».

Come li guarda, i paesi? «Non per dare bandiere arancioni. I luoghi che alzano bandiera bianca, quelli arresi, esercitano su di me un’attrazione particolar­e. Mi piace attivare focolai di passione civile in posti in preda alla sfiducia. Far notare la sacralità di territori dove non capita nessuno. È un lavoro forse più religioso che culturale».

Nel libro Vento forte leggo: «Siamo chiamati ad abbandonar­ci totalmente al mondo e alle sua sparizione, in questo abbandono ci può essere qualche fuoco che dura, un’intensità che ci fa bene».

«È una specie di “turismo della clemenza”: vado in posti dove nessuno arriva, per fare compagnia, e scopro che è quel luogo che fa compagnia a me, mi guarisce con il silenzio, la luce, la quiete, antidoti alle malattie del nostro tempo frenetico».

Ha rapporti con l’Emilia?

«Mi piace molto la vostra regione. Senti ancora la montagna come radice della pianura, non c’è troppa distanza tra le città e i piccoli centri, come per esempio nella mia Campania: c’è una migliore distribuzi­one territoria­le».

Lei è stato segnalato per la prima volta da Gianni Celati nell’antologia «Narratori delle riserve» (1992).

«Gianni è il mio maestro per la prosa. Il suo Verso la foce mi ha aperto orizzonti. Abbiamo avuto un rapporto intensissi­mo: tutta l’Emilia che c’è in Celati l’ho assorbita».

Oltre a essere un paesologo lei è un ottimo poeta…

«Scrivo versi da quando avevo 16 anni. All’inizio li pubblicavo in libretti clandestin­i. Ora la poesia occupa un posto sempre più centrale nella mia attività, procurando­mi successi. In autunno uscirà da Bompiani un libro di versi d’amore. Il festival di Aliano è fatto da cinque giorni di poesie e musiche, alla ricerca di atmosfere di comunità. La poesia mi piace portarla fuori dalle pagine, in pubblico».

Come mai ama tanto la parola «provvisori­o»?

«È un termine cruciale. Nel festival cerco di creare una comunità provvisori­a, fatta di abitanti, turisti, persone invitate, che può alludere a un modo di abitare o riabitare i luoghi. Il mondo d’oggi è talmente veloce e instabile che costruire cose solide appare velleitari­o. Questo è un tempo in cui bisogna conciliars­i con la provvisori­età, e inventare».

” Qui senti ancora la montagna come radice della pianura

 ?? Il quadro ?? Vincent Van Gogh, «Paesaggio con casa e contadini» (1889)
Il quadro Vincent Van Gogh, «Paesaggio con casa e contadini» (1889)

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