BONACCINI E IL LODO AUTONOMIA
Se l’industria bolognese, che finora è riuscita a mantenere una buona rotta nel mare tempestoso dell’economia globalizzata, segna un arretramento del fatturato, siamo davvero oltre la soglia di guardia. Molto dipende dalle scelte nazionali ed europee, ma un sostegno prezioso può venire pure dalle amministrazioni pubbliche locali, come peraltro hanno già dimostrato di saper fare. Potrebbero però aiutare di più se avessero maggiori poteri ed è proprio questa la ragione per cui, al netto delle evidenti motivazioni meramente politiche, Stefano Bonaccini conduce la battaglia affinché venga riconosciuta l’autonomia differenziata alla Regione che presiede. Il governatore dell’Emilia-Romagna, al riguardo, cita frequentemente il caso dei 36 milioni di euro per un triennio messi a bilancio per tagliare del 50% l’Irap alle imprese nelle aree appenniniche e per azzerarla a chi, sempre in montagna, apre nuove aziende: un’azione fondamentale che, tuttavia, non è diretta, bensì attuata solamente attraverso successivi meccanismi di rimborso. Un altro esempio è quello della scuola che sotto le Due Torri nessuno si sogna di regionalizzare: «Vorremmo concorrere a pieno titolo alla programmazione degli organici, dell’edilizia scolastica, del diritto allo studio — ha detto Bonaccini in occasione di un convegno —. Non chiediamo il trasferimento degli insegnanti, né di intervenire sulle procedure di reclutamento».
Eancora: «Vogliamo discutere e co-decidere sull’organizzazione, la loro distribuzione. Perché assicurare il diritto allo studio tanto a chi vive in centro a Bologna quanto a chi abita nel più piccolo dei comuni dell’Appennino è cruciale; così come assicurare scuole moderne e sicure, a prescindere che il comune sia grande e “ricco” o piccolo e con poche risorse». Il «capitale umano» è indispensabile per la tenuta del sistema produttivo, ma da tempo molte nostre imprese faticano a trovare le persone giuste da assumere. Ora che il Pd è tornato al governo, il progetto di autonomia benedetto dall’allora premier Gentiloni, che aveva firmato con Bonaccini una dichiarazione di intenti, potrebbe decollare. Difficile fare previsioni. Il neo-ministro Giuseppe Provenzano, da vicedirettore Svimez (associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno), nei mesi scorsi ha criticato le rivendicazioni autonomistiche senza fare distinzioni tra le diverse piattaforme. E Francesco Boccia, che ha festeggiato nella sua Bisceglie la nomina agli Affari regionali, ha confermato nell’intervista al Corriere i timori per una riforma che rischia di aumentare le disparità. Ma ha detto anche di voler ascoltare i presidenti delle Regioni, iniziando da quelli di Veneto, Lombardia ed Emilia, per individuare «un modello applicabile per tutti». È uno spiraglio importante che forse consentirà a Bonaccini di vincere la battaglia. Perché, a differenza dei governatori Zaia e Fontana, lui non sventola le bandiere del residuo fiscale o della spesa storica, ma chiede di poter avere più potere amministrativo «a costo zero per lo Stato». Anzi, ha detto di essere perfino disponibile ad accettare qualche euro in meno, perché la sua vuole essere «un’autonomia solidale». Il governo giallorosso è guardato con sospetto dal Nord e non solo perché nella sua composizione la rappresentanza settentrionale è minoritaria. È dunque interesse del Conte 2 dimostrare l’infondatezza di simili remore e di non essere insensibile alle richieste che provengono dal motore economico italiano. Dopo il «lodo Bologna» che ha suggerito l’alleanza tra Pd e M5S, lo schema di autonomia dell’Emilia potrebbe essere un’altra chance per tradurre in pratica la promessa di cambiamento.