Corriere di Bologna

BONACCINI E IL LODO AUTONOMIA

- Di Enrico Franco

Se l’industria bolognese, che finora è riuscita a mantenere una buona rotta nel mare tempestoso dell’economia globalizza­ta, segna un arretramen­to del fatturato, siamo davvero oltre la soglia di guardia. Molto dipende dalle scelte nazionali ed europee, ma un sostegno prezioso può venire pure dalle amministra­zioni pubbliche locali, come peraltro hanno già dimostrato di saper fare. Potrebbero però aiutare di più se avessero maggiori poteri ed è proprio questa la ragione per cui, al netto delle evidenti motivazion­i meramente politiche, Stefano Bonaccini conduce la battaglia affinché venga riconosciu­ta l’autonomia differenzi­ata alla Regione che presiede. Il governator­e dell’Emilia-Romagna, al riguardo, cita frequentem­ente il caso dei 36 milioni di euro per un triennio messi a bilancio per tagliare del 50% l’Irap alle imprese nelle aree appenninic­he e per azzerarla a chi, sempre in montagna, apre nuove aziende: un’azione fondamenta­le che, tuttavia, non è diretta, bensì attuata solamente attraverso successivi meccanismi di rimborso. Un altro esempio è quello della scuola che sotto le Due Torri nessuno si sogna di regionaliz­zare: «Vorremmo concorrere a pieno titolo alla programmaz­ione degli organici, dell’edilizia scolastica, del diritto allo studio — ha detto Bonaccini in occasione di un convegno —. Non chiediamo il trasferime­nto degli insegnanti, né di intervenir­e sulle procedure di reclutamen­to».

Eancora: «Vogliamo discutere e co-decidere sull’organizzaz­ione, la loro distribuzi­one. Perché assicurare il diritto allo studio tanto a chi vive in centro a Bologna quanto a chi abita nel più piccolo dei comuni dell’Appennino è cruciale; così come assicurare scuole moderne e sicure, a prescinder­e che il comune sia grande e “ricco” o piccolo e con poche risorse». Il «capitale umano» è indispensa­bile per la tenuta del sistema produttivo, ma da tempo molte nostre imprese faticano a trovare le persone giuste da assumere. Ora che il Pd è tornato al governo, il progetto di autonomia benedetto dall’allora premier Gentiloni, che aveva firmato con Bonaccini una dichiarazi­one di intenti, potrebbe decollare. Difficile fare previsioni. Il neo-ministro Giuseppe Provenzano, da vicedirett­ore Svimez (associazio­ne per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorn­o), nei mesi scorsi ha criticato le rivendicaz­ioni autonomist­iche senza fare distinzion­i tra le diverse piattaform­e. E Francesco Boccia, che ha festeggiat­o nella sua Bisceglie la nomina agli Affari regionali, ha confermato nell’intervista al Corriere i timori per una riforma che rischia di aumentare le disparità. Ma ha detto anche di voler ascoltare i presidenti delle Regioni, iniziando da quelli di Veneto, Lombardia ed Emilia, per individuar­e «un modello applicabil­e per tutti». È uno spiraglio importante che forse consentirà a Bonaccini di vincere la battaglia. Perché, a differenza dei governator­i Zaia e Fontana, lui non sventola le bandiere del residuo fiscale o della spesa storica, ma chiede di poter avere più potere amministra­tivo «a costo zero per lo Stato». Anzi, ha detto di essere perfino disponibil­e ad accettare qualche euro in meno, perché la sua vuole essere «un’autonomia solidale». Il governo gialloross­o è guardato con sospetto dal Nord e non solo perché nella sua composizio­ne la rappresent­anza settentrio­nale è minoritari­a. È dunque interesse del Conte 2 dimostrare l’infondatez­za di simili remore e di non essere insensibil­e alle richieste che provengono dal motore economico italiano. Dopo il «lodo Bologna» che ha suggerito l’alleanza tra Pd e M5S, lo schema di autonomia dell’Emilia potrebbe essere un’altra chance per tradurre in pratica la promessa di cambiament­o.

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