STUDENTI, TURISTI E VISIONI
Di per sé la domanda è innocua: turista o studente? In realtà mette in gioco la futura vocazione sociale di Bologna che, ben più di altre città, bisogna che esca da alcune assodate mitologie. Non è qui la sede per discuterne pro e contro, pro o contro. Vero è che, da tempo immemore, non facciamo altro che ripetere e ripeterci le stesse cose. Riproducendo sino allo sfinimento il refrain sul cambiamento e la trasformazione, tale da renderci tanti piccoli gruppettari di noi stessi. In presa diretta, è facile constatare come il centro storico abbia sempre meno bacheche di posti letto per studenti e sempre più folder, cataloghi, pagine social ad uso e consumo del turismo. Meno abbaini con una bottiglia di birra davanti ad una grata, cumuli di ravaldoni, cioè biciclette accatastate in un cortile, chiacchiere alla rinfusa su micro e macrocosmi da trasformare, deridere, invidiare.
Un presentat’arm indennitario in profonda trasformazione, rispetto al quale, immediatamente modulare parole e contenuti della vita quotidiana. Sempre più ridotta al percorso guidato di guide turistiche, sempre meno adatta a fare da sfondo alla vita studentesca. Nemmeno troppo paradossale l’offerta da parte di piccoli e grandi centri dell’Appennino o della città metropolitana ad accogliere, adottare, uno studente fuorisede.
Il centro storico sembra essere destinato ad essere espunto quale aftermath della vita studentesca, a botte di rincari e affitti vertiginosi. Alla base, il deficit di una visione ampia di ciò che caratterizza, nel profondo, il quadro generale della dimensione sociale di Bologna. Sic et simpliciter, il meraviglioso appartiene al turismo, coi suoi selfie in toccata e fuga fra una città e l’altra. Più angusto lo spazio per gli studenti, al solo leggere accorati post su Facebook e messaggi, fra l’incerto e il disperato, di richiesta disponibilità stanze o appartamenti.
Proprio nel momento in cui la tecnologia potrebbe allearsi alle questioni sociali per rendere la posta in gioco realmente qualitativa, bruscamente, riprende quota il dilemma fra popolazione studentesca e turistica. Con angusti spazi di manovra istituzionale e organizzativa, in termini di adattabilità e cambiamento, rispetto ai bisogni e ai desideri. Lo so, lo so, prevengo le obiezioni su una terminologia che rischia di suonare fuori moda e fuori contesto, ma è il come più del perché che dovrebbe accelerare le scelte operative politiche, economiche, sociali sul centro storico. Non tanto per zone, ma per contesti. Non tanto per numeri, ma per nuovi e vecchi attori poliedrici.
Il caso singolo non basta più, se l’orizzonte non è allargato al comportamento umano come insieme di emozioni e intuizioni favorite da dove s’interagisce fisicamente e, ancor più, simbolicamente. La «celeste nostalgia» di approfondire il discorso è un vecchio arnese lessicale, però è lecito interrogarsi se quella immediata associazione di idee su Bologna come prezioso laboratorio giovanile non stia progressivamente abbandonando la psicogeografia, l’autocostruzione, sotto i colpi inesorabili della gentrificazione. Settembre, mese educato e gentile, dovrebbe fornire l’occasione di fare i conti su quanto siamo allenati alla visione di ciò che non è immediatamente intuibile, al particolare, all’inatteso. Del resto, produrre idee, senza l’obbligo di rimpannucciarsi nelle ideologie, credo, possa essere uno dei problemi fondamentali. A partire dal discutere di cause. Non è tempo di aut aut, proprio no. Nel centro storico e oltre.