LOCALE, GLOBALE, OLIMPICO
In società, ha spiegato Stendhal, si debutta con un duello. E la forma scelta in questi giorni da Bologna per debuttare alla grande nella società globale sembra essere la sfida olimpionica, con la proposta di divenire sede dei Giochi del 2032. Si è ancora allo stadio della prima idea, ma già si scorgono, al riguardo, elementi su cui conviene fin d’ora riflettere, perché la loro rilevanza è destinata a permanere anche nel caso non se ne faccia in concreto, alla fine, nulla. Essi riguardano il nesso delle condizioni generali del contesto al cui interno l’ipotesi è stata avanzata con la forma specifica che fin dall’inizio quest’ultima ha assunto. E nell’illuminare la natura dell’attuale fase della globalizzazione tali elementi gettano una luce alquanto problematica sull’incrocio tra la sfida olimpica e gli altri progetti territoriali che a breve potrebbero interessare la nostra regione e la nostra città.
Il primo e principale elemento in questione consiste nel carattere pluriregionale del progetto ancora in embrione, che potrebbe coinvolgere non soltanto la Toscana e l’Emilia-Romagna ma anche il Lazio, e al loro interno molteplici nuclei urbani. Non si tratta di nulla fin qui d’inedito nella logica organizzativa dei Giochi stessi, ma anzi della conferma di un sistema ormai assodato. Basti pensare ai Giochi invernali del 2026 assegnati a Milano e Cortina, secondo un criterio di ripartizione dei compiti che annulla ogni differenza tra città e campagna.
Che azzera ogni abituale distinzione o addirittura opposizione tra ambiti fisiografici da secoli se non da millenni considerati l’un l’altro irriducibili. E che, invece, la globalizzazione, attraverso la punta di lancia delle Olimpiadi, riduce da tempo a un regime di perfetta equivalenza. L’ ipotesi emiliano-romagnolatosco-laziale rivela un livello ulteriore di tale processo. Nei discorsi che da qualche giorno si vanno in merito articolando tra sindaci e governatori emerge la possibile figura di una verticale, cioè appenninica costellazione policentrica, una specie di cerniera tra il mondo mediterraneo a meridione e quello padano, vale a dire continentale, a settentrione. Una costellazione la cui natura e il cui assetto ricordano non poco, appunto in virtù del suo policentrismo, il regime insediativo tipico dell’allineamento urbano lungo la via Emilia, però con un’unica, decisiva differenza: il carattere appunto transregionale della rete, composta da città appartenenti ad ambiti amministrativi diversi, sebbene contigui. La globalizzazione procede anzitutto proprio così, attraverso connessioni più o meno estemporanee tra soggetti eterogenei e discosti sotto il profilo territoriale e istituzionale, e rimettendo per tal via in discussione tutti i limiti fin qui imposti dalla storia e dalla geografia. Ed è dunque rispetto a tale orizzonte, a tale nuovo codice, che ogni piano d’interesse locale andrebbe traguardato e riferito, per verificarne il senso. Tanto per dirne uno: il progetto, anzi i progetti, di autonomia regionale differenziata che incombono sull’assetto politico della nazione, tutti invece basati, inclusa la versione «ristretta» emiliana, sulla continuità e l’omogeneità all’interno del singolo quadro territoriale esistente. Si faccia caso: qualche settimana fa è stato celebrato con grande spolvero il cinquantennale dello sbarco sulla Luna. Ma nessuno fin qui sembra ricordarsi che proprio in questi giorni, giusto cinquant’anni fa, accadeva qualcosa di molto più importante per il funzionamento del mondo: nasceva la Rete. Sorge il sospetto che, in virtù della propria pervasività, essa faccia ormai parte della più implicita forma di senso comune, e perciò non desti più attenzione. Sarebbe però un grave errore rimuovere la sua esistenza dall’analisi. E metterci in proposito sull’avviso è forse il primo merito del sogno olimpionico di Bologna.