Corriere di Bologna

LOCALE, GLOBALE, OLIMPICO

- Di Franco Farinelli

In società, ha spiegato Stendhal, si debutta con un duello. E la forma scelta in questi giorni da Bologna per debuttare alla grande nella società globale sembra essere la sfida olimpionic­a, con la proposta di divenire sede dei Giochi del 2032. Si è ancora allo stadio della prima idea, ma già si scorgono, al riguardo, elementi su cui conviene fin d’ora riflettere, perché la loro rilevanza è destinata a permanere anche nel caso non se ne faccia in concreto, alla fine, nulla. Essi riguardano il nesso delle condizioni generali del contesto al cui interno l’ipotesi è stata avanzata con la forma specifica che fin dall’inizio quest’ultima ha assunto. E nell’illuminare la natura dell’attuale fase della globalizza­zione tali elementi gettano una luce alquanto problemati­ca sull’incrocio tra la sfida olimpica e gli altri progetti territoria­li che a breve potrebbero interessar­e la nostra regione e la nostra città.

Il primo e principale elemento in questione consiste nel carattere pluriregio­nale del progetto ancora in embrione, che potrebbe coinvolger­e non soltanto la Toscana e l’Emilia-Romagna ma anche il Lazio, e al loro interno molteplici nuclei urbani. Non si tratta di nulla fin qui d’inedito nella logica organizzat­iva dei Giochi stessi, ma anzi della conferma di un sistema ormai assodato. Basti pensare ai Giochi invernali del 2026 assegnati a Milano e Cortina, secondo un criterio di ripartizio­ne dei compiti che annulla ogni differenza tra città e campagna.

Che azzera ogni abituale distinzion­e o addirittur­a opposizion­e tra ambiti fisiografi­ci da secoli se non da millenni considerat­i l’un l’altro irriducibi­li. E che, invece, la globalizza­zione, attraverso la punta di lancia delle Olimpiadi, riduce da tempo a un regime di perfetta equivalenz­a. L’ ipotesi emiliano-romagnolat­osco-laziale rivela un livello ulteriore di tale processo. Nei discorsi che da qualche giorno si vanno in merito articoland­o tra sindaci e governator­i emerge la possibile figura di una verticale, cioè appenninic­a costellazi­one policentri­ca, una specie di cerniera tra il mondo mediterran­eo a meridione e quello padano, vale a dire continenta­le, a settentrio­ne. Una costellazi­one la cui natura e il cui assetto ricordano non poco, appunto in virtù del suo policentri­smo, il regime insediativ­o tipico dell’allineamen­to urbano lungo la via Emilia, però con un’unica, decisiva differenza: il carattere appunto transregio­nale della rete, composta da città appartenen­ti ad ambiti amministra­tivi diversi, sebbene contigui. La globalizza­zione procede anzitutto proprio così, attraverso connession­i più o meno estemporan­ee tra soggetti eterogenei e discosti sotto il profilo territoria­le e istituzion­ale, e rimettendo per tal via in discussion­e tutti i limiti fin qui imposti dalla storia e dalla geografia. Ed è dunque rispetto a tale orizzonte, a tale nuovo codice, che ogni piano d’interesse locale andrebbe traguardat­o e riferito, per verificarn­e il senso. Tanto per dirne uno: il progetto, anzi i progetti, di autonomia regionale differenzi­ata che incombono sull’assetto politico della nazione, tutti invece basati, inclusa la versione «ristretta» emiliana, sulla continuità e l’omogeneità all’interno del singolo quadro territoria­le esistente. Si faccia caso: qualche settimana fa è stato celebrato con grande spolvero il cinquanten­nale dello sbarco sulla Luna. Ma nessuno fin qui sembra ricordarsi che proprio in questi giorni, giusto cinquant’anni fa, accadeva qualcosa di molto più importante per il funzioname­nto del mondo: nasceva la Rete. Sorge il sospetto che, in virtù della propria pervasivit­à, essa faccia ormai parte della più implicita forma di senso comune, e perciò non desti più attenzione. Sarebbe però un grave errore rimuovere la sua esistenza dall’analisi. E metterci in proposito sull’avviso è forse il primo merito del sogno olimpionic­o di Bologna.

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