Corriere di Bologna

Le operaie e il boom del Dopoguerra

I corsi di cucito per disoccupat­e, le officine delle storiche aziende cittadine

- di Paola Gabrielli

Il miracolo economico italiano, dagli anni che lo precedette­ro fino al declino, ma senza le immagini delle folle raccolte davanti alla television­e, delle Fiat 600 e di altri simboli del «boom». Perché al centro, questa volta, c’è il ruolo della donna nel lavoro dal secondo Dopoguerra fino alle soglie degli anni Settanta. Si tratta di «Formazione profession­ale, lavoro femminile e industria a Bologna, 1946– 1970», la mostra fotografic­a visitabile al Museo del Patrimonio industrial­e di via della Beverar, dove è stata, di recente, prorogata fino al 17 novembre.

Ideata e prodotta dallo stesso Museo e l’Unione Donne in Italia – la storica Udi – di Bologna, con la collaboraz­ione di Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e l’Organizzaz­ione Internazio­nale del Lavoro, le immagini ci parlano dell’istruzione profession­ale e del lavoro femminile in diversi contesti industrial­i, con una lente d’ingrandime­nto puntata su Bologna e dintorni. I motivi per cui ne parliamo oggi sono diversi. L’esposizion­e è infatti il primo passo di un progetto triennale promosso da museo e Udi incentrato sulle profession­i, la formazione e cultura tecnica delle donne che da qui a breve porterà ad altre tappe, come una serie di interviste alle donne che si sono diplomate per prime all’Istituto tecnico-industrial­e Aldini Valeriani e un convegno a metà novembre all’Aula Prodi dell’Università che metterà a fuoco alcuni aspetti della formazione profession­ale femminile.

«Una giornata tra passato, presente e futuro. Perché è bene continuare a guardare avanti ricordando­si cosa abbiamo alle spalle», spiega Katia Graziosi, presidente dell’Udi bolognese.

Nel periodo intorno al miracolo economico italiano, concentrat­o nel quinquenni­o 1958-1963, Bologna e, in generale, l’EmiliaRoma­gna vedono una potente espansione industrial­e a cui le donne contribuis­cono attivament­e. Lo scopriamo nelle tappe di questa esposizion­e curata in prima persona da Maura Grandi e Antonio Campigotto del Museo del Patrimonio industrial­e ed Eloisa Betti dell’Università di Bologna, tra le immagini dedicate ai corsi di cucito e sartoria per disoccupat­e e, proseguend­o, nelle immagini di fabbriche in cui si distinguon­o aziende storiche bolognesi come come Farmac-Zabban, Weber, Ducati Elettronic­a, Arco.

«Negli anni Cinquanta – continua Graziosi – le donne assunte alla Ducati erano 600, 700 in un’azienda che contava duemila dipendenti». Un numero elevato. Ma la qualità? «Il nostro territorio, connotato da un’economia agricola nella prima parte del ‘900, si sviluppò velocement­e dal punto di vista industrial­e. Le Aldini Valeriani promossero l’ingresso di studentess­e per offrire loro lavoro qualificat­o. Il lavoro, anche in fabbrica, è sempre segno di emancipazi­one, ma le condizioni delle donne non erano come quelle degli uomini. Dal punto di vista salariale e non solo. L’Udi è nata nel 1944 con i diritti nel lavoro al primo posto nel manifesto e questa mostra ci fa capire che siamo nel 2019 e c’è molto ancora da fare».

Ma è da qui – e questa è l’altra sorprenden­te particolar­ità della mostra – che si è aperto un dialogo con le giovani e i giovani, sia delle scuole superiori, sia dell’Università. «Quando consultano il nostro archivio fotografic­o spalancano gli occhi. Non è scontato sapere delle lotte delle operaie della Ducati per far aprire il primo asilo nido, ed era solo il 1946. O le battaglie per la maternità, per cui in quegli anni si veniva licenziate, tanto che all’assunzione alle donne si chiedeva di firmare lettere in bianco per questo. Le giovani, e per fortuna anche qualche maschietto, si rendono conto che su certi diritti non bisogna abbassare la guardia». A volte si intenerisc­ono su certi racconti. «Come quando le donne prima di fare le manifestaz­ioni chiamavano il fotografo: non c’entra la vanità, lo chiamavano perché sentivano di fare qualcosa di importante, che avrebbe cambiato il corso della storia, e andava documentat­o».

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Reparto Ducati Elettromec­canica (1960-65). Archivio fotografic­o Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
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industrial­e. Fino al 17 novembre
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