INNOVARE, LA GARA DEL FUTURO
Affrontare una competizione rende meno compiacenti e soddisfatti della propria mediocrità. La gara ci spinge a dare il meglio di noi e ottenere il massimo da quello che siamo in grado di dare. Un caldo benvenuto a Bologna tra le dodici finaliste del premio «iCapital», capitale europea dell’innovazione. A settembre, la vincitrice riceverà a Bruxelles un milione di euro. In reputazione, il valore è molto più alto. In gara con noi ci sono la spagnola Bilbao, la belga Anversa, le francesi Lione e Nantes, l’olandese Rotterdam, le tedesche Amburgo e Dortmund, le inglesi Bristol e Londra, la scozzese Glasgow e la finlandese Espoo.
Salirà sul podio del vincitore la città i cui amministratori daranno prova di superare le altre nel far leva sull’innovazione coinvolgendo i cittadini per migliorarne la vita. La sfida da affrontare è liberarsi dalla trappola del consenso per operare al di fuori degli influssi soffocanti dello status quo. A spegnere l’innovazione intervengono regole, leggi, politiche, procedure e vincoli culturali che nel corso del tempo si depositano sul tessuto comunitario. Come l’imprenditoria della città è rivitalizzata dalla comparsa di startup innovative, così l’amministrazione è rinvigorita dall’adozione di pratiche che rompono con il passato. Il torneo si svolge lungo quattro percorsi. I primi due riguardano lo stile di governo della città, tale da coinvolgere i cittadini diffondendo le loro idee.
Stiamo attraversando un periodo di tensioni a causa di un rovinoso indebolimento della coesione sociale. I cittadini si sentono impotenti e non rappresentati. La percezione di crescenti disuguaglianze richiede la loro partecipazione alla vita pubblica rendendo più accessibili le istituzioni politiche. Gli amministratori di Bologna dovranno dimostrare di essersi dotati di «assemblee dei cittadini» e mostrare i risultati da esse prodotte. Il terzo percorso di gara è la capacità di attrarre talenti. I giovani nomadi della conoscenza sono eclettici, poliedrici. La flessibilità cognitiva permette loro di acquisire competenze e di applicarle in diversi lavori e campi. Leonardo e altri artisti del Rinascimento hanno usato la conoscenza dell’anatomia per rappresentare il corpo in modo più convincente. Al pari di Leonardo, per i talenti tutto si collega a tutto il resto. Costoro abbracciano ogni tipo di sapere e disdegnano la visione a tunnel all’interno di strette specializzazioni. Bologna dovrà illustrare quanto e come la flessibilità mentale della sua comunità sconfigga la costipazione cognitiva provocata dall’eccessiva specializzazione (il nostro tessuto produttivo è troppo colorato di meccanica e meccatronica?). Come dire che da noi i vortici di Leonardo (di pensiero, d’acqua, d’aria, di sangue) prevalgono sulla fissità delle stelle, Sole compreso, che Newton pare non aver mai messo in dubbio. Nell’ultimo tratto di gara, si compete sull’impatto misurabile delle pratiche innovative adottate. Nel presentare le nostre misure dobbiamo evitare di cadere nel fosso della pseudoscienza. Nell’innovazione conta anche ciò che non si può o non è facile contare. Pensiamo al rilievo che l’arte liberale riveste nell’avviare processi innovativi e, poi, nel giudicare il loro impatto: liberale perché entra nel merito di come l’innovazione emancipi l’uomo e «arte» perché si occupa della pratica e dell’applicazione delle innovazioni. Non c’è modo migliore di vincere il premio di quello che fa vedere ai giurati la nostra abilità nello sposare le arti liberali e le scienze fisiche per creare, divulgare e portare a compimento idee innovative. Seguendo il pensiero e la pratica di Steve Jobs, nell’età digitale Bologna apparirebbe città che innova facendo interagire musicisti, poeti, artisti, zoologi e storici che sono anche tra i migliori informatici del mondo.