Il romanzo nero di Lolli ergastolo in Libia con l’accusa di terrorismo
La storia romanzesca dell’ex re degli yacht Giulio Lolli, latitante per anni dopo le truffe dei panfili venduti più volte, si arricchisce di un nuovo capitolo. La Corte di Tripoli, dove si era rifugiato, lo ha condannato all’ergastolo per terrorismo.
L’ultima scorribanda del «pirata» forlivese Giulio Karim Lolli rischia di costargli il carcere a vita. La storia romanzesca dell’ex re degli yacht di lusso, latitante per anni dopo il crac dell’azienda che lo aveva fatto conoscere negli ambienti che contano, si arricchisce di un ultimo clamoroso capitolo. La Corte di Tripoli lo ha condannato all’ergastolo per aver fiancheggiato un gruppo armato estremista separatista, la Shura di Bengasi in lotta con l’autorità di Al Serraj, fornendo loro imbarcazioni e forse armi. Accuse poco chiare ma sufficienti a comminare perfino la pena capitale. Per fortuna sventata.
Lolli è rimasto vittima della sua stessa leggenda, fagocitato dalla vita spericolata a cui non ha mai rinunciato da quando nel 2010 è fuggito dall’Italia, inseguito com’era da facoltosi clienti, inchieste e processi per le truffe seriali con le barche vendute a più acquirenti. Un mare di guai nel quale, è proprio il caso di dirlo, ha sempre navigato come un pirata, definizione che non gli è mai dispiaciuta, trovando infine un approdo. Così un attimo prima che la giustizia italiana gli presentasse il conto, il manager è fuggito. Come? A bordo di una barca naturalmente. Di porto in porto, grazie ad appoggi e soldi nascosti chissà come, è arrivato nella tormentata Libia. Qui si è reinventato, da pirata a comandante di imbarcazioni, senza mai rinunciare alla vita sopra le righe (alberghi di lusso e belle donne) nonostante fosse inseguito da mandati di cattura internazionale e una richiesta di estradizione.
Il camaleonte ci ha messo poco a diventare un personaggio anche in Libia, attraverso un blog alimentava storie e leggende con foto che lo ritraevano armato nel deserto, con giacca mimetica e basco militare o al timone di uno yacht. Nel 2011 la sua buona stella sembrava essersi offuscata: l’Interpol, i servizi segreti e i buoni rapporti tessuti negli anni dall’Italia con Gheddafi lo portarono in carcere, a un passo dall’estradizione. Poi ci fu l’insurrezione, la caduta del Colonnello e l’evasione, grazie ai ribelli ai quali si unì facendosi ribattezzare Karim e alimentando così l’aura da avventuriero.
La fortuna gli ha voltato le spalle il 29 ottobre del 2017 quando fu catturato dalla potente polizia di Al Serraj: finì in carcere con accuse imprecisate ma legate ai presunti traffici con un gruppo armato vicino alle forze separatiste del colonnello Haftar. Lolli, che ha fatto di tutto per fuggire dall’Italia, ora vorrebbe tornarci. Non sarà facile. Tra i due paesi non ci sono trattati e dunque non può esserci estradizione, «resta la speranza di una consegna volontaria anche perché non sono chiare né le accuse né le prove», rileva il suo avvocato italiano Antonio Petroncini che ha attivato i canali diplomatici.