L’EMILIA MERITA DI PIÙ
In Emilia-Romagna la destra è stata storicamente debole dal punto di vista politico e irrilevante sul piano istituzionale. Anche la vittoria alle comunali di Bologna del 1999, epica per alcuni, certamente epocale, è stata effimera e per giunta guidata da un saggio tessitore di relazioni civiche quale fu Giorgio Guazzaloca. Nell’ultimo decennio però gli equilibri sono mutati rapidamente e il centrosinistra, non sempre brillante in uomini e idee, ha sperperato un enorme vantaggio elettorale e un diffuso patrimonio civico, a fronte di una destra rampante in cerca di nuovi autori dopo il declino di Berlusconi o la sua parabola (Ignazi, Il Mulino). Le vittorie in vari Comuni, tra cui Forlì e Ferrara, confermano la «normalizzazione» della ex zona rossa. I principali movimenti elettorali, a parte le suggestioni di qualche mattacchione, sono sempre stati tra centro e centrodestra tra i due fratelli coltelli Forza Italia/Lega Nord (e in parte Alleanza nazionale), in quello schema definibile forza-leghismo, prendendo a prestito la brillante intuizione del grande Edmondo Berselli, conoscitore (di Quel gran pezzo) dell’Emilia. Una contiguità culturale, sociale, e politica che faceva dei due principali azionisti del centro destra il baricentro del campo conservatore. La cui spina dorsale era però Forza Italia, con un personale politico presentabile, in vari casi competente e legato alla tradizione socialista, ma soprattutto democristiana, della regione.
Come del resto la compianta Udc, sebbene quest’ultima preferisse un patto consociativo con il centrosinistra anziché la sfida aperta, come confermano i passaggi trasformisti degli ultimi eredi. L’avanzata della Lega (Nord) a guida Matteo Salvini ha ribaltato gli equilibri in Emilia, ponendo una plausibile ipoteca sulla vittoria alle elezioni regionali di inizio 2020. Il cui sistema elettorale non consente apparentamenti o voti strategici non essendo previsto il ballottaggio, come avviene invece alle elezioni comunali superiori. Pertanto, l’alleanza tra Pd e M5s, difficile in questa fase, ma possibile in futuro, andrebbe in realtà ritagliata su una sorta di «desistenza» concordata. Ricca di rischi e qualche vantaggio. Ad oggi il centro-destra è in netto vantaggio potenziale, se consideriamo la somma dei consensi ricevuti da Lega e da Fratelli d’Italia alle Europee scorse. Il punto dolente per il centro-destra risiede però nella classe dirigente, una volta indebolitasi e quasi svuotata Forza Italia, e con la tattica di efficace collocamento istituzionale degli epigoni dell’Udc. Rimangono i due partiti della destra a contendersi la leadership. Il passaggio dei colonnelli dell’ex Alleanza nazionale da Forza Italia a Fratelli d’Italia rimarca non solo un «fatto politico», ma indica la lentezza della destra emiliana ad attestarsi su posizioni conservatrici o neoliberali, attardata come è in un retaggio di revanchismo identitario e riflessi à la Dottor Stranamore. La debolezza del personale politico della destra, e il richiamo agli antichi fasti post missini non agevolano la competizione né l’alternanza nel buongoverno. Aizzare i cittadini su presunte caste regionali o sistemi Pd è decisamente poco e imbarazzante. Sul piano ideologico il traino leghista trascina per i capelli l’intero (centro)destra sul baratro dell’estrema destra con una conseguente competizione al rialzo con Fratelli d’Italia. Da un lato, dunque, il centro-sinistra non adeguatamente sfidato, e quindi non stimolato ai molti cambiamenti che dovrebbe apportare alle sue politiche e alla sua classe dirigente, dall’altro un (ex) centro-destra sempre più a destra che al massimo potrebbe vincere le elezioni ma senza diventare classe dirigente. L’Emilia merita di più e meglio. Si può fare.