Immagini arcaiche e primarie, allo stato puro: Piero Manai
Le mostre Alla Galleria P420 e alla CAR DRDE le figure, le teste, i monoliti e le nature morte del pittore bolognese. Fino a sabato 9 novembre
Appartenente al vivace clima culturale della città di Bologna nell’ambito del ritorno alla pittura dei primi anni Ottanta, Piero Manai è un artista «unico» sia per quanto riguarda la continua sperimentazione sulla pittura sia per i temi che affronta nei suoi lavori, lontani dalla transavanguardia e dal nomadismo culturale del postmoderno. Piero Manai è artista diverso, complesso, dentro la grande storia dell’arte – da Schiele a Brancusi, da Cézanne a Bacon - ma in un certo senso arcaico e per questo precursore. Basta osservare i quadri delle figure e delle teste esposti alla Galleria P420 o alle nature morte che rappresentano il focus alla Galleria CAR DRDE (doppia inaugurazione questa sera alle ore 18) per intuire la ricchezza e la completezza del corpus del suo lavoro.
Nelle sale della Galleria P420 la pittura esplode violenta sulla tela (spesso carta dipinta e poi intelata), lasciando molto spazio vuoto intorno alle figure, con sfondi color sabbia o grigio chiaro che sono come delle finestre su cui galleggia l’uomo sdoppiato: tra anatomia e psiche, tra pittura e scultura, tra peso e sospensione, tra figure piene e ombre fantasmatiche.
Un autentico capolavoro è la grande testa del 1986, dipinta due anni prima di morire all’età di 37 anni: una testa azzurro-violacea, dallo sguardo cieco, fatta di un impasto pittorico denso ma in movimento, come oppressa da un peso che non ha supporti su cui pesare ma che gravita sopra un mare di pittura bluastra: «Una testa rasata, accecata, scarnita, del cranio senza fori, che forse non è mai stato scatola dei sensi», come scriveva Pietro Bonfiglioli nel lontano 1988.
Sono queste le opere di Piero più conosciute, quando decollate dal corpo, le teste diventano prima resti grondanti pittura, poi oggetti pesanti come sassi, concentrati come sculture di pietra, tanto da diventare monoliti silenziosi, immagini allo stato puro, lontane da ogni racconto, arcaiche e primarie. A poco a poco le teste diventano nature morte, pietre appoggiate su grandi basamenti scuri, zoccoli che devono sostenerle affinché non cadano giù: siamo ora alla Galleria CAR DRDE dove sono esposti i lavori di Manai sull’oggetto e sulla natura morta e dove si legge la continuità che esiste tra le figure, le teste e le nature morte, anch’esse sdoppiate tra le parti piene e solidificate e le parti esplose e libere, in un gioco al raddoppio tra il pieno e il vuoto, tra la pittura e la scultura, tra il drammatico e il poetico che è la vera e originale cifra stilistica dell’artista.