Trentatré anni di Musica Insieme Bruno Borsari lascia la direzione
«Tanti abbonati, pochi aiuti. Bologna risponde se c’è passione, ma va coltivata»
«Trentatré anni a Musica Insieme, trentatré anni di Musica Insieme», ricorda Bruno Borsari, «il grande capitano», come lo chiamano i suoi collaboratori. Oggi lascia la direzione della Fondazione che creò con Marco Fier e con altri nel 1987 e che ha portato al record di 1.300 abbonati per stagioni di musica da camera nelle quali abbiamo ascoltato artisti come Sviatoslav Richter, Friedrich Gulda, Isaac Stern, Giuseppe Sinopoli, il Quartetto Alban Berg, Maurizio Pollini, Mario Brunello, Salvatore Accardo, Alfred Brendel, Radu Lupu.
Borsari, come mai abbandona la sua creatura?
«L’età avanza. Sembro più giovane dei miei anni perché ho un passato da sportivo. Le energie fisiche e intellettuali non mancano e le curiosità nemmeno. Musica Insieme mi resterà sempre nel sangue, ma da oggi smetto di occuparmi della gestione ordinaria. Anche perché so che ciò non creerà problemi».
Come mai?
«Perché c’è un gruppo solido e competente di collaboratrici. Da persona adulta mi sono reso conto che è il momento di tirarmi indietro e lasciare spazio ai giovani, che hanno conoscenze che io non possiedo».
Torniamo indietro: come nacque Musica Insieme?
«Nel 1987, tra le stagioni sinfoniche del Comunale e di Bologna Festival, entrò in crisi una vecchia associazione che faceva soprattutto cameristica alla sala Bossi del Conservatorio, gli Amici della musica. Ci chiesero di subentrare e misi a disposizione le mie competenze commerciali e di marketing».
Come mai vi faceste avanti? «Eravamo appassionati di musica. Seguivamo tutte le stagioni. Ma nei primi tempi era difficile capire come scegliere e contattare artisti, che so, inglesi o americani. I primi anni ci aiutò come direttore artistico il professor Mostacci del Conservatorio. E fu fondamentale il contributo di Carlo Fontana, allora sovrintendente del Comunale. La cameristica del teatro languiva e lui, dandoci spazi e l’uso del logo del teatro, avallò l’idea di una stagione autonoma. Fu importante, perché noi avevamo bisogno di sostegni autorevoli».
Come avete fatto ad arrivare a 1.300 abbonati?
«Nel 1990, in occasione dell’inaugurazione dell’Opéra Bastille a Parigi, organizzammo il primo viaggio in pullman, portando 80-90 abbonati nella capitale francese. In ottobre andremo ad Amburgo, a visitare lo straordinario edifico dell’Elbphilharmonie. Abbiamo proposto cartelloni di musica e poesia, serate tematiche sulla guerra, attività per le scuole. Abbiamo allargato l’idea tradizionale di concerto, con la curiosità di vedere cosa succede in campi contigui della cultura. Oggi portiamo alle nostre rassegne 300 abbonati che vengono dalla Città Metropolitana, con otto pullman, e molti giovani delle superiori».
Siete stati sostenuti dalle istituzioni?
«Il primo contributo del Comune ci arrivò dopo 16-17 anni di attività. La risposta è: poco, meno di quanto avrebbero dovuto e potuto. Siamo la stagione cameristica con il maggior numero di abbonati e con la minore quota di finanziamento pubblico. Io ero famoso per girare tra gli imprenditori con la valigetta, per raccogliere sponsorizzazioni. Il 55 per cento nei nostri mezzi viene dagli abbonati».
Cosa vuol dire?
«La volto in positivo: vuol dire che se c’è passione e voglia di fare, il nostro territorio può dare risultati insperati. Forse di più in passato, quando i dirigenti erano ex tornitori ed ex capomastri con la voglia di migliorare culturalmente».
La musica oggi a Bologna?
«Bologna è città creativa per la musica dell’Unesco. Lei ha visto un solo cartello che indichi al turista dove è il teatro Comunale, il Conservatorio, il Museo della musica, l’Accademia filarmonica? Quasi tutto si basa sulla voglia di musica dei bolognesi. Ma anche quella va alimentata: da noi si dedica ancora troppo poco spazio al contemporaneo. E così i repertori e le passioni corrono il rischio di seccarsi».