Le stime del danno che porterebbe l’aumento dei dazi all’Emilia-Romagna
Quello dell’allarme per il made in Italy causa dazi sui prodotti europei è ormai un balletto a cui le imprese emiliano-romagnole si sono dovute abituare da quando il presidente degli Stati Uniti è Donald Trump.
Ammontano a circa 7 miliardi di euro le compensazioni che gli States potrebbero incassare già entro fine ottobre per gli aiuti pubblici concessi ad Airbus, rivale europeo della produttrice americana di aeromobili Boeing e giudicati illegali dall’Organizzazione mondiale per il commercio (Wto). E in attesa di capire esattamente come la scure delle tasse sulle esportazioni si abbatterà sulle produzioni nostrane (ieri l’incontro decisivo a Ginevra per il pronunciamento del Wto è stato fiume e mancano ancora i dettagli), le imprese fanno una prima stima del pericolo che potrebbero correre.
Se nel 2018 a livello nazionale il valore dell’export verso il mercato americano ammontava a 42,4 miliardi di euro, nello stesso anno dall’Emilia-Romagna partiva per Usa e Canada il 7,2% dell’export regionale che, secondo le rilevazioni di Unioncamere, è stato di 6.224.057.260 di euro su un totale di 63.427 milioni di euro (il 13,7% del dato italiano).
Sono tre i settori nell’occhio del ciclone in questa regione: automotive e produzione dei mezzi di trasporto, agroalimentare e moda. Se si considerano solo i prodotti agroalimentari, parliamo di 1.098.893.319 euro annui a rischio mannaia. Sono invece 1.700.813.996 gli euro che potrebbero subire tagli nei trasporti e 366.262.044 quelli che potrebbero ridurre i profitti di abbigliamento e prodotti in pelle.
Mentre dagli ambienti di Confindustria nessuno si sbilancia sulle possibili conseguenze dei dazi sulla manifattura, è soprattutto il mondo dei prodotti della tavola a temere il peggio. Gli Stati Uniti sono il principale mercato del Parmigiano Reggiano: nei primi sei mesi dell’anno — fanno sapere da Coldiretti regionale — si è registrata una crescita record del 26% con oltre 400mila forme, quasi il 5% della produzione annua. Produzione messa a dura prova anche dai finti Parmigiano e Grana, che si concentrano proprio nel mercato Usa. «L’eventuale via libera del Wto causerebbe — secondo le stime del presidente del Consorzio del Parmigiano, Nicola Bertinelli — crolli sul mercato anche del 90%: se aumentano le tasse di esportazione aumentano anche i prezzi. E i consumi vanno in picchiata». Stesso refrain per il cugino Grana Padano: «Subiremmo un danno di 270 milioni di euro», informa il presidente del Consorzio, Nicola Cesare Baldrighi. Preoccupato anche Carlo Piccinini,numero uno di Confcooperative FedAgriPesca Emilia-Romagna: «Una guerra commerciale tra Usa e Ue causerebbe perdite ingenti, colpendo formaggi, vino, salumi, olio d’oliva, pomodori e pasta. Facciamo appello a parlamentari e ministri competenti affinché scongiurino questa ipotesi». Simile la posizione della numero uno di Confagricoltura regionale, Eugenia Bergamaschi: «A rischio ci sono i formaggi, un comparto che esporta valore per 90 milioni annui negli Usa, ma anche i vini (85 milioni) e i salumi (58-60 milioni)». Del resto, che la situazione possa tramutarsi in un male per il made in Italy lo aveva paventato nei giorni scorsi anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «La nostra attenzione è massima», aveva promesso dal Villaggio Coldiretti allestito in Montagnola.