Martone e il «Sindaco» a Bologna «Piazza Maggiore, emozione unica»
Oggi il regista incontra il pubblico all’Odeon e al Lumière, domani gli studenti
«Il sindaco del rione Sanità», scritto da Eduardo De Filippo una sessantina d’anni fa, fu lo spunto da cui partì Mario Puzo per scrivere Il Padrino, poi portato sul grande schermo da Francis Ford Coppola. Una nuova versione cinematografica, trasportata ai nostri giorni, è stata presentata da Mario Martone alla Mostra del cinema di Venezia, a partire dall’omonimo spettacolo nato nel Teatro Nest di San Giovanni a Teduccio (Napoli).
Il regista partenopeo sta girando l’Italia per presentare il film, distribuito da Nexo Digital. Nella sua full immersion bolognese incontrerà oggi il pubblico all’Odeon di via Mascarella (ore 21.15), prima del film, e al cinema Lumière al termine della proiezione delle 20.15. Domani alle 10, all’Odeon, dialogherà con le scuole che hanno aderito alla proposta di Agiscuola Emilia-Romagna, a Venezia il film ha infatti vinto il Leoncino d’Oro assegnato dagli studenti.
Martone, ma tra gomorre e suburre imperanti come mai è tornato a Eduardo?
«La spinta è stata quella di calare il tessuto nella contemporaneità, considerando Eduardo come un classico, come uno Shakespeare, un Cechov, un Molière. Credo sia arrivato il momento di sottrarre questi testi a uno stile di recitazione “eduardiana”. Per questo il boss nel film è ringiovanito e anche i codici di riferimento sono quelli che gli spettatori associano a Gomorra, ma che purtroppo si ritrovano in tante periferie di Napoli».
Com’era nata la versione teatrale?
«Dall’incontro con un piccolo teatro che fa un enorme lavoro sociale, sottraendo tanti ragazzi al loro destino di affiliati e offrendo loro una possibilità con il teatro, non solo come attori ma anche come tecnici. Lo spettacolo è passato pure a Bologna e a un certo punto mi è venuta voglia di provare a farne un film».
Il passaggio è stato immediato?
«Direi di sì. Il testo si svolge in due appartamenti del boss, uno in centro e uno nella dimora estiva, mentre ho utilizzato gli esterni per incorniciare i tre atti. C’è una grande tradizione di teatro che si trasferisce al cinema, in tempi recenti penso a Carnage di Roman Polanski».
È vero che il suo prossimo film sarà sul padre di Eduardo De Filippo?
«Confermo, sarà su Eduardo Scarpetta, che non riconobbe mai ufficialmente il figlio, pur portandoselo con sé in palcoscenico. Una figura straordinaria del teatro, interpretata da Toni Servillo, con cui tornerò a lavorare dopo un po’ di tempo».
Lei sta accompagnando il film personalmente. Una risposta alle difficoltà della distribuzione attuale?
«È un po’ come nella dimensione del concerto. In un tempo in cui le sale tendono a svuotarsi, un film low budget come questo si prestava a una circolazione del genere. Ma io non sono un nostalgico, credo sia naturale che il cinema si trasformi, anche se la sala va difesa pure in una fase di grandi cambiamenti».
Bologna il cinema l’ha portato addirittura in piazza.
«Bologna è la città della Cineteca, un centro fondamentale per il cinema italiano. Ricordo quando ho presentato
Noi credevamo in piazza Maggiore, un’esperienza unica. La piazza, come la sala, restituisce il senso collettivo del cinema, che lo ha accompagnato sin dall’inizio. Un’emozione che non va persa».
Incontrerà anche gli studenti, ai quali ha fatto scoprire un Leopardi diverso da quello della scuola.
«Non ho mai condiviso la visione dei ragazzi di oggi come generazioni di fannulloni attaccati agli smartphone. Aldilà di quello che si sta vedendo nelle piazze in queste settimane, che dimostra che ci sono una grande energia e una possibilità di futuro più forte delle stanze dei bottoni. Con la mia trilogia della storia ho voluto ricordare che le vicende del nostro paese sono state fatte da persone molto giovani, come Mazzini, che non aveva nemmeno trent’anni quando fondò La Giovane Italia. Ho presentato figure vive, ribelli, che ci parlano anche della nostra inquietudine».