«Già al liceo ascoltava tutti poi ci convinceva a seguire la sua strada»
L’ex viceministro Giro racconta l’amico Matteo
Lo chiama sempre e solo Matteo. Senza don, senza monsignore, senza cardinale. «Matteo per me resterà sempre solo Matteo». Quel ragazzo alto e magro conosciuto nel 1975 e con cui è rimasto in costante contatto, anche se poi le loro strade (geografiche) si sono divise. «Ma l’ho sentito anche ieri e sarò in Vaticano, quando diventerà cardinale. Chissà cosa farà da cardinale, noi amici un po’ ci ridiamo su». Mario Giro, 61 anni, è un membro della Comunità di Sant’Egidio ed è stato viceministro agli Esteri del governo Renzi e del successivo governo Gentiloni. Di monsignor Zuppi è un amico fraterno.
Come vi siete conosciuti lei e Zuppi?
«Era il 1975. Entrai nella Comunità di Sant’Egidio e lui era già uno dei responsabili, seppure giovanissimo. Fin da ragazzo aveva una fortissima propensione per i poveri. Andavamo insieme nel quartiere periferico di Primavalle, facevamo il doposcuola nelle casette fatiscenti costruite dopo che Mussolini fece sgomberare il borgo (l’isolato cosiddetto «Spina di Borgo» ndr) per costruire via della Conciliazione. Andavamo lì, aiutavamo le persone in difficoltà e alla sera facevamo il punto tutti insieme, all’aperto. Non avevamo una sede all’epoca. Matteo era un gran trascinatore di giovani».
Come vi aveva convinti a unirsi a lui per andare a Primavalle?
«Matteo fin da ragazzo aveva un forte senso delle relazioni umane, di simpatia verso l’altro. All’epoca io e altri eravamo presi dal ribellismo extraparlamentare, non andavamo a scuola, la occupavamo la scuola, facevamo le manifestazioni. Lui arrivava lì, alle manifestazioni: ascoltava le nostre ragioni, ascoltava tutti, poi però ci convinceva a seguirlo. Ci portava dai poveri e alla fine, senza quasi nemmeno accorgercene, ci trovavamo a leggere il Vangelo. Erano anni difficili, gli anni di piombo, anni di violenza, si manifestava per ogni respiro».
Se non ci fosse stato un Matteo Zuppi, in quegli anni, pensa che molti di voi avrebbero scelto la violenza?
«Senz’altro in alcuni casi ha evitato che qualcuno facesse gesti violenti. Matteo è un grande attraversatore di mondi, ha capacità di relazione, di Matteo si diventa amici. Noi all’epoca eravamo ragazzi strani, giovani scapestrati, confusi, pieni di sé, con in tasca Il Manifesto e Avanguardia operaia. Andavamo a Primavalle e c’erano quelli di Lotta Continua che facevano l’autoriduzione delle bollette, ci dicevano che quella era l’operazione politica da farsi. E poi arrivava Matteo e ci spiegava cos’era fare comunità e che invece di perdere tempo a parlare fra noi, dovevamo parlare con i poveri e fare la vita del Vangelo».
Che è la stessa cosa che monsignor Zuppi ha continuato a fare negli anni.
«Ovunque. Da parroco di Trastevere la sua porta era aperta a tutti: anziani, poveri, tossici. Prendere un caffè lì con lui era quasi impossibile: lo fermavano trenta, quaranta persone in dieci minuti di passeggiata. Non è mai stato sbrigativo con nessuno. Si è sempre ricordato della storia e della vita di tutti, che è stato un altro suo grande insegnamento: non solo conoscere le persone, ma ricordarsi di loro. Matteo è rimasto sempre lo stesso ragazzo degli anni Settanta prima da sacerdote, poi da parroco, poi da vescovo».
E come se lo immagina da cardinale?
«È stata una sorpresa sapere che diventerà cardinale, un po’ a noi amici viene da ridere. Chissà cosa combinerà, ci diciamo. Ma Matteo sarà come è sempre stato, sarà il cardinale della gente. Lo stesso Matteo che, diventato vescovo di Roma centro andava in giro per parrocchie in bicicletta. In bicicletta a Roma, non so se rendo l’idea. La persona di Matteo, in qualunque contesto, è diventata per tanti un luogo dove stare».
” Io e altri eravamo presi dal ribellismo, lui ci ascoltava e ci parlava E ala fine lo seguivamo nelle periferie sfortunate